Ticino

Di Covid-19, badanti e infermieri a domicilio

Anche chi accudisce anziani e ammalati nelle loro abitazioni ha visto cambiare la sua routine. Ecco com'è andata

C'è chi da un po' che lavora da casa, ma mai da casa sua (Ti-Press)
20 aprile 2020
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La diffusione del coronavirus ha mutato anche il contesto delle cure a domicilio: meno visite – complice la paura del contagio –, ma anche la necessità di accudire i nuovi pazienti Covid-19, e di pensare progressivamente alla loro convalescenza e riabilitazione. «Abbiamo registrato un sensibile calo delle prestazioni richieste», spiega Rosaria Sablonier, direttrice di SCuDo, servizio di assistenza e cura a domicilio nel Luganese. «C’è un certo timore del contagio che spinge molti utenti a rimandare possibili visite da parte del nostro personale, nonostante siamo in grado di garantire i massimi standard igienici: è previsto l’uso rigoroso di mascherine, guanti, camici monouso, disinfettanti e di tutti i presidi indicati dalle autorità cantonali e federali». L’infermiera Chiara Ermolli aggiunge che «in molti casi, chi rinuncia alle cure dispone oggi comunque dell’aiuto di famigliari che sono a casa dal lavoro. È importante però che chi sta seguendo terapie e necessita dell’aiuto di personale qualificato non vi rinunci, per evitare un peggioramento delle sue condizioni di salute».

Poi ci sono le persone contagiate: «Ne seguiamo 35, 29 delle quali erano già nostre utenti per altre patologie», ci dice Sablonier. «In questi casi aumentiamo ulteriormente il livello di protezione con occhiali, soprascarpe, protezioni analoghe a quelle di chi opera coi contagiati negli ospedali. Finora, solo 5 dei nostri 260 operatori attivi hanno contratto il virus». Nei casi di coronavirus, specifica Ermolli, «il nostro ruolo è anzitutto di monitoraggio: controlliamo periodicamente valori quali la temperatura corporea, la saturazione dell’ossigeno nel sangue e il respiro, per assicurarci che chi è stato dimesso dalle strutture sanitarie o non ha avuto bisogno di un ricovero resti comunque sotto controllo costante».

Stefano Gilardi, presidente dello spitex Alvad che serve Locarnese e Vallemaggia, sottolinea l’importanza di guardare al ‘dopo’, ovvero alla fase di convalescenza e riabilitazione: «Ci stiamo già preparando per fornire un supporto che dovrà essere anche psicologico. Penso in particolare agli anziani che rischieranno di subire ulteriori limitazioni della loro autonomia, e che potrebbero sfortunatamente perdere un coniuge. In questi casi è importante, oltre al sostegno fisico, anche quello psicologico, per impedire che queste persone si sentano impotenti o inutili. Il nostro personale è stato formato fin dall’inizio per affrontare l’emergenza e per poter essere di supporto all’intero sistema sanitario, anche per evitare la pressione sugli ospedali». Nel frattempo, si moltiplicano le sfide ‘collaterali’: ad esempio «dobbiamo affrontare le conseguenze inattese della sedentarietà forzata, in particolare su patologie come il diabete. In questo caso i nostri infermieri aiutano la motivazione del paziente per spingerlo a fare movimento anche tra le mura di casa», conclude Gilardi.

Infine, l’infermiera Ermolli formula un auspicio: «Sarebbe positivo se questa crisi aiutasse le persone a comprendere meglio l’importanza del nostro mestiere, che spesso passa un po’ in secondo piano rispetto ad altre professioni sanitarie, anche nelle scelte di carriera. Si tratta di un ruolo importante, che richiede dei livelli di specializzazione e professionalità non sempre compresi dai non addetti ai lavori».

Sotto lo stesso tetto

E poi c’è chi lavora dove abita da ben prima del Covid-19, eppure non è mai a casa sua. Anche per le badanti la realtà in questi giorni è un po’ cambiata. Ce lo racconta Silvia Dragoi, arrivata in Svizzera dieci anni fa da Timisoara. Due lauree e trent’anni di esperienza come insegnante, ora accudisce una signora di 94 anni e «da quel punto di vista non è cambiato molto, comunque già prima stavamo a casa tutto il giorno»: a pesare è però soprattutto «la chiusura del centro diurno che le permetteva di fare nuove attività, di svagarsi. E consentiva anche a me di avere tempo per fare la spesa, ritirare la corrispondenza e occuparmi dei miei bisogni. La signora non ha famigliari, per cui non c’è nessuno che possa sostituirmi». A ciò si aggiunge la preoccupazione per la famiglia: «Mio marito e mio figlio vivono ancora in Romania. Anche loro sono chiusi in casa, e si è sempre in pensiero per quello che potrebbe succedere: il sistema sanitario rumeno non è come quello svizzero». A livello igienico, spiega Dragoi, «noi badanti abbiamo sempre adottato precauzioni particolari: dovendo assistere le persone nei loro movimenti e in bagno, ad esempio, indossiamo i guanti di lattice. Sia io che la signora indossiamo le mascherine quando arriva qualcuno in casa, ad esempio gli assistenti a domicilio e gli addetti del centro diurno, che ora ci aiutano con la spesa». Per far passare la giornata «ci inventiamo nuove attività. Camminiamo attorno al tavolo del salotto in modo da non stare sempre fermi. Abbiamo disegnato dei bigliettini di auguri per Pasqua, anche se poi non li abbiamo potuti dare a nessuno. Si parla al telefono, per esempio coi nipoti a Firenze».

C’è anche chi si ammala, come una sua connazionale che preferisce rimanere anonima: «Non so dove sia potuto avvenire il contagio: io mi muovo con i mezzi pubblici, faccio la spesa per me e la persona che accudisco… Mi sono accorta che qualcosa non andava a causa di una forte tosse. Il medico di famiglia mi ha fatto fare il tampone, e sono risultata positiva. All’inizio mi sono spaventata». Per fortuna, la situazione è rimasta sotto controllo anche durante la settimana di ricovero in ospedale, e ora si appresta a tornare al lavoro. «Nel frattempo, del mio assistito si è occupato un sostituto. Sono contenta di poter ritornare al mio posto già la prossima settimana». Tornare a casa, per così dire.

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