Ticino

Coronavirus, commercio ticinese in chiaroscuro

Enzo Lucibello (Disti): ‘In questi giorni il food va meglio del solito’. Lorenza Sommaruga (Federcommercio): ‘Ma le città ora sono più vuote’

(Ti-Press)

«Stiamo notando un certo ritorno della clientela locale soprattutto per quanto riguarda il food, ovvero gli alimentari», osserva Enzo Lucibello, presidente di Disti, l’associazione della grande distribuzione ticinese. «Dopo la corsa agli scaffali di un paio di settimane fa, dettata da ragioni prettamente emotive, in questi giorni abbiamo assistito comunque a un aumento delle vendite, ripeto, del settore food. Per quanto riguarda il non-food (abbigliamento, elettronica eccetera) invece non possiamo dire altrettanto», continua Lucibello. Le motivazioni? «Probabilmente le persone preferiscono stare a casa anche per questioni precauzionali. Visto che l’acquisto di un vestito o di un paio di scarpe non è urgente, in questo frangente si rimanda. Nei nostri negozi, ad ogni modo, come in altre aziende, sono state prese delle misure di igiene supplementari raccomandate dalle autorità», precisa ancora il presidente della Disti che conferma un certo rallentamento del turismo degli acquisti.

Sommaruga: molto preoccupati

Sulla cifra d’affari dei piccoli e medi commerci ticinesi l’impatto dell’epidemia di coronavirus rischia però di essere particolarmente pesante, tale da pregiudicare l’esistenza di alcuni negozi. «Il problema, che ovviamente non è solo nostro, è che non si sa come si evolverà e quanto durerà questa epidemia: un’incertezza che non permette quindi di essere né pessimisti, né ottimisti. Si vive alla giornata. L’unico sentimento che come categoria oggi proviamo è la preoccupazione. Siamo molto preoccupati», dice alla ‘Regione’ Lorenza Sommaruga, presidente della Federcommercio. Quanto ad acquisti, il 2020 «è già cominciato per noi sottotono: ora, normalmente la settimana di Carnevale non fa testo perché in diversi sono in vacanza in montagna o all’estero; in quella successiva, con il rientro dalle ferie, il commercio riprende a girare, ma stavolta, presumibilmente a causa del coronavirus, le città non sono tornate a riempirsi e questo si sta traducendo in un consistente calo dei consumi», constata Sommaruga. Un calo da ricondurre a un paio di fattori: da un lato «i residenti sono più prudenti, alcuni si spostano solo se è indispensabile: per recarsi al lavoro o per approvvigionarsi di generi alimentari, prediligendo i grandi centri commerciali, situati fuori città, comodamente raggiungibili in auto», dall’altro ci sono i provvedimenti adottati dalle aziende per scongiurare al loro interno il contagio. «Vi sono società – riprende Sommaruga – che a titolo precauzionale hanno messo in quarantena decine di propri dipendenti, frontalieri o che sono stati in Italia: se hanno la possibilità, gli impiegati lavorano da casa, il che è un’ottima cosa perché si mantengono i posti, tuttavia queste persone non sono fisicamente in città». E quindi, per esempio, «meno pranzi, meno caffè, ma registriamo anche una diminuzione nell’acquisto di calzature, di capi di abbigliamento e di altri articoli non di prima necessità». Stilare un primo bilancio dell’impatto del coronavirus sulla cifra d’affari «è prematuro», sostiene Sommaruga: «Cercheremo di sfruttare al massimo ogni possibilità dataci dalla nuova legge sui negozi, come l’apertura a San Giuseppe. Vedremo».

La Federcommercio ha già delle richieste all’indirizzo dell’autorità politica? «A breve contatterò i presidenti delle varie società di commercianti per discuterne e muoverci di concerto, fermo restando che per i piccoli commerci chiedere il lavoro ridotto è di fatto impossibile, visto che la forza lavoro in questo settore è piuttosto contenuta», rileva Sommaruga. Che aggiunge: «Il momento è difficile. Dobbiamo cercare di essere più uniti. Parlo di solidarietà, che passa anche dagli acquisti in Ticino».

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