Ticino

Edifici dismessi, 10 milioni per la riqualifica

Dalla Gestione sì alla richiesta (del 2016) del liberale radicale Nicola Pini, tra criteri da rispettare e attenzione alle zone periferiche

23 dicembre 2019
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È una nuova linfa da 10 milioni di franchi quella che andrà a nutrire gli edifici dismessi, soprattutto nelle regioni periferiche, in Ticino. La Commissione parlamentare della gestione, infatti, sottoscrivendo il rapporto della relatrice Anna Biscossa (Ps) si è schierata a favore della rivitalizzazione di questi particolari edifici. Un credito quadro, quello che sarà chiesto al Gran Consiglio nella prima seduta del 2020, con il quale “si vuole risolvere in modo puntuale il problema degli edifici dismessi, con l’obiettivo di assicurare, quando siano rispettati precisi criteri, quei sostegni finanziari in grado di contribuire in modo significativo a dare nuovi contenuti e una nuova vita a oggetti che altrimenti non avrebbero possibilità di avere un futuro”, si legge nel rapporto.

È una storia lunga quasi quattro anni quella che ha portato a questo rapporto commissionale. La prima mozione risale al 22 febbraio 2016, quando il liberale radicale Nicola Pini propose azioni in questo senso. Incentivi chiesti, sempre da Pini, anche con un’iniziativa parlamentare generica nel novembre del 2016. A questi atti si è unita più recentemente una mozione dei due granconsiglieri comunisti Massimiliano Ay e Lea Ferrari. Tant’è, dopo anni di tira e molla la situazione sembra essersi sbloccata. Con un credito che, come detto, chiederà il rispetto di “precisi criteri”. Innanzitutto l’aiuto pubblico “è concesso solo ai comuni, gruppi di comuni o altri enti di diritto pubblico, come pure a partenariati pubblico-privati che avanzano un progetto di recupero e di rivitalizzazione”. E i criteri per accedere a questi incentivi sono tre. Il primo è che l’immobile oggetto della richiesta “deve essere già inattivo da almeno cinque anni alla data di entrata in vigore del decreto legislativo”, quindi verosimilmente dal 2015. Il secondo è che “la sua importanza strategica sia comprovata a livello regionale”, e farà stato la decisione del Consiglio direttivo del relativo Ente regionale per lo sviluppo. Infine, e siamo al terzo, “deve aver ospitato nel tempo una documentata attività economica”. E se l’immobile che si vuole portare a nuova vita è di proprietà privata? Di criteri se ne aggiungono altri tre: si è provato a vendere l’immobile senza però riuscirci; negli ultimi cinque anni il suo valore non è stato aumentato da modifiche del Piano regolatore; al momento della richiesta di sussidi deve essere costituito un gruppo promotore.

Un aiuto pubblico, quello in questione, che sarà erogato sotto forma di sussidi: contributi a fondo perso, concessione di mutui senza interessi o una combinazione tra le due possibilità. Ad ogni modo, “il cumulo dei sussidi richiesti non potrà superare il 50 per cento dell’importo computabile complessivo”. E, per la loro concessione, “i promotori devono apportare nella fase di realizzazione fondi propri per una quota pari ad almeno il 25 per cento dell’investimento complessivo”. Un dare/avere insomma, un venirsi incontro. Con l’ultima parola per la concessione dei sussidi, una volta visti modelli e approfondimenti, al Consiglio di Stato.

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