Ticino

Quel 'battibecco' a distanza tra Borrelli e il giudice ticinese

Inizio 1998: il capo del Pool mani pulite, deceduto sabato all'età di 89 anni, rispondeva sulle colonne de laRegione alle dichiarazioni di Michele Rusca

La pagina di quel 15 gennaio 1998
22 luglio 2019
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Metà gennaio 1998: in Italia si sentono ancora gli strascichi di Mani pulite. A capo del pool che sta indagando sulla corruzione ai vertici politici (ma non solo) italiani c'è Francesco Saverio Borrelli, morto sabato scorso all'età di 89 anni dopo lunga malattia. La settimana di metà gennaio viene 'scossa' da una intervista dell'allora presidente del Tribunale d'appello ticinese Michele Rusca che risuona in tutta la Penisola tramite la stampa. “La giustizia svizzera accusa il Pool di Mani pulite”, titolava allora il "Giornale" di Milano, riportando che Rusca avrebbe dichiarato che quasi tutte le rogatorie giunte in Svizzera dal pool erano contro Berlusconi e che, comunque, le molte richieste di assistenza giudiziaria avrebbero poi portato a pochi processi. La risposta di Borrelli in Ticino arriva dalle colonne della Regione, con un'intervista di Andrea Manna. Ecco come andò:

«Sono dichiarazioni, perlo meno quelle riportate dalla stampa, che mi stupiscono profondamente. Mi stupisco quando il giudice Rusca afferma che “Da noi (in Svizzera, ndr.) è molto raro che un magistrato si esprima su procedimenti in corso, tanto meno su valutazioni politiche poste al Parlamento”: e il presidente Rusca che ha fatto? Non si è forse espresso su procedimenti che ci sono stati o che sono in corso davanti a lui per tutte queste rogatorie? Insomma, mi sembra che nel momento in cui critica i magistrati che parlano di procedimenti in atto incorra nel medesimo errore. Se errore è. Ripeto, sono fortemente stupito da dichiarazioni di questo genere, che non hanno nessun riscontro nella realtà dei fatti». Raggiunto da “laRegione Ticino”, reagisce così Francesco Saverio Borrelli, procuratore capo presso il Tribunale di Milano e magistrato alla testa del pool Mani pulite, all’intervista rilasciata al settimanale italiano “Tempi” dal presidente del Tribunale d’appello ticinese e presidente della Camera dei ricorsi penali Michele Rusca. Intervista riassunta all’Ansa e in parte anticipata ieri dai quotidiani italiani (“La giustizia svizzera accusa il Pool di Mani pulite”, titolava in prima pagina il “Giornale” di Milano) e ti- cinesi. A “Tempi” Rusca avrebbe fra l’altro parlato di politicizzazione della vita giudiziaria italiana, del fatto che quasi tutte le rogatorie di Mani pulite andavano “in una direzione abbastanza orientata verso Berlusconi” e avrebbe affermato che pochi sono stati i processi celebrati a seguito delle numerose domande d’assistenza giudiziaria (“Ci ha un po’ sorpresi che il bilancio di processi fatti nelle aule giudiziarie e non sui giornali sia abbastanza ridotto”). Così avrebbe detto Rusca: condizionale d’obbligo visto che ieri il presidente del Tribunale di appello ha rettificato alcune dichiarazioni (vedi sotto).

Dottor Borrelli, a prescindere dall’intervista di “Tempi”, com’è la collaborazione fra il pool e la Svizzera?

È una buona collaborazione, collaborazione che soprattutto negli ultimi tempi si è accentua- ta. Il problema è che per tutta una serie di ricorsi e appelli permessa da alcune norme procedurali elvetiche le operazioni risultano talvolta rallentate di molto. Cosa che per noi è purtroppo un grave handicap, perché con il nuovo codice di procedura penale italiano abbiamo dei termini ben precisi per lo svolgimento delle indagini. Decorsi questi termini dobbiamo per forza investire il tribunale. Infatti le lentezze della giusti- zia italiana non sono più tanto nella fase delle indagini, quan- to in quella del dibattimento, ,del processo. Per noi il non ottenere in tempo quelle informazioni, quei dati o quei documenti che chiediamo agli altri Paesi significa veramente pregiudicare le indagini. Questo è un argomento che si riallaccia ad alcune considerazioni che sono state attribuite al presidente Rusca il quale dice “i processi non vengono celebrati”. Intanto non è vero che non vengono celebrati, è vero invece che c’è un rallentamento nella fase del dibattimento e che se noi non otteniamo in tempo utile la collaborazione dagli altri Stati non riusciamo a completare la raccolta delle prove.

Se con la Svizzera la collaborazione è buona, con gli altri Stati com’è?

Dipende dai Paesi e dai settori. In alcuni settori che coinvolgono principalmente le polizie per ragioni di ordine pubblico – mi riferisco ai traffici di droga, ai traffici di armi – vi è una pronta collaborazione. Per contro nei delitti dei cosiddetti colletti bianchi, ovvero nel settore della criminalità economica, spesso si stenta a ottenere rapidamente dei risultati anche per la presenza di forti interessi economici che si oppongono all’acquisizione di determinati dati.

Il procuratore generale di Milano ha detto all’inaugurazione dell’anno giudiziario che Tangentopoli continua.

Non credo che la corruzione potrà essere completamente sradicata dalle società. Da noi era una corruzione di sistema e questo era l’aspetto veramente allarmante della situazione italiana. Anche oggi tuttavia abbiamo materia di cui occuparci. Ci occupiamo addirittura di alcuni casi di corruzione nella magistratura, il che rappresenta il massimo della gravità del fenomeno. Per la verità non abbiamo ragioni per dire che si sia veramente voltato pagina. Il che però non ci impedisce di essere ottimisti per il futuro».

La sola azione giudiziaria comunque non basta.

Certamente no. Occorrono strumenti di carattere normativo, di carattere organizzativo. Occorrono controlli, con organi ad hoc che facciano il loro dove- re sino in fondo, all’interno e all’esterno dell’amministrazione. In generale occorre che si diffonda anche nella popolazione la cultura della legalità, l’amore per la legalità. E sotto questo aspetto dalla Svizzera ci può venire qualche indicazione, qualche esempio importante.

Magistrati e separazione delle carriere, lei che ne pensa dottor Borrelli?

In Italia il dibattito è ancora in corso, anche se ora si parla di separazione di funzioni più che di carriere. Personalmente sono contrario alla separazione delle carriere. E’ infatti molto importante che il magistrato, ai fini della sua formazione culturale e professionale, abbia un’esperienza sull’uno e sull’altro versante, ossia su quello giudicante e su quello requirente. Senza poi dimenticare che la separazione delle carriere servirebbe a spingere il pubblico ministero verso una funzione più tipicamente di polizia, allontanandolo dalla giurisdizione. E questo non credo sia una buona cosa. D’altronde vi sono numerosi colleghi qui a Milano che hanno avuto esperienze in entrambi i versanti e che sono fra i magistrati più completi. Penso al pubblico ministero Gherardo Colombo, che viene dalla magistratura giudicante, o al mio vi- ce Gerardo D’Ambrosio, anch’egli proveniente dalla giudicante. Io stesso ho fatto ventotto anni nella magistratura giudicante.

 
Il giudice Rusca precisa: contenuto deformato

Il giudice Michele Rusca, da noi interpellato dopo la sua intervista a “Tempi” (rilasciata lunedì per telefono), precisa: «Nelle dichiarazioni riportate dalla stampa non mi riconosco».

E in una nota trasmessaci per iscritto aggiunge quanto segue. “Sono sorpreso dal taglio dato dai quotidiani italiani ad una mia intervista di tono più pacato. Titoli a sensazione e citazioni estrapolate dal loro contesto ne hanno deformato il contenuto, in modo da non più riconoscere il mio pensiero in quegli assemblaggi. Il mio intervento – scrive Rusca – vole- va piuttosto sviluppare un discorso su due contrapposti sistemi giudiziari. Che la vita giudiziaria italiana sia molto politicizzata è sotto gli occhi di tutti.

Ma è paradossale constatare che in Italia le interferenze tra il potere giudiziario e quello politico sono manifestamente più intense di quanto avviene in Svizzera, anche se da noi l’elezione dei magistrati avviene regolarmente su proposta dei partiti politici. Un paradosso che fa riflettere, se si tien conto che la Svizzera è l’unico Paese dell’Europa continentale dove non vige il sistema della magistratura per concorso, che in teoria dovrebbe garantire una maggiore indipendenza politica dei giudici.

Ulteriore argomento che mi era parso degno di riflessione è che, in Italia, l’interrelazione tra magistratura e giustizia esce dagli schemi abituali: generalmente si paventano pressioni politiche sui giudici e si cercano adeguati correttivi in garanzie quali l’inamovibilità del giudice o l’autogoverno della magistratura (praticamente assenti dal sistema svizzero). L’anomalia sta ora nel fatto che sono sempre più frequenti le incursioni di magistrati italiani su questioni di competenza del Parlamento o del Governo, con grande eco di stampa. In altri termini, si può oggi intravvedere un rovesciamento della direzione da cui possono provenire le pressioni: dal mondo della giustizia a quello della politica, e non solo viceversa.

Non è d’altronde una novità che la magistratura italiana, già sotto la precedente Repubblica, abbia in più occasioni svolto un vero e proprio ruolo di “supplenza” rispetto alle manchevolezze del potere politico. Che in un discorso di questo genere si possa intravvedere un attacco al pool di Mani pulite mi sembra fuori luogo. Addirittura contrario alla buona fede del giornalista è poi scrivere che “il Pool usa i documenti inviati dalla Svizzera solo contro Berlusconi”, deformando così ad arte la mia constatazione che gran numero di rogatorie italiane di peso concernono indagini avviate contro il gruppo Fininvest e che sarebbe improprio parlare di inchieste giudiziarie a 360 gradi sulla corruzione in Italia. Non vi è infatti alcun riscontro oggettivo nella quantità e nel genere di processi per corruzione finora celebrati nelle aule penali italiane, a cinque anni dall’inizio di Tangentopoli”. 

 

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