Ticino

Un fiasco in Ticino lo sciopero generale di 100 anni fa

Quello che è considerato da taluni storici l'avvenimento più importante della storia elvetica dal 1848, al sud delle Alpi incontrò forti opposizioni

11 novembre 2018
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Lo storico ginevrino Marc Vuilleumier lo ha definito l'avvenimento più importante della storia svizzera dal 1848. Di certo, è stato il più drammatico. Lo sciopero generale del 12-14 novembre 1918 (esattamenbte 100 anni fa) rischiò di far piombare il paese, risparmiato dalla prima guerra mondiale, in una guerra civile. Ma pose anche la necessità di riforme i cui effetti sono ancor oggi tangibili. E portò comunque frutti oggi ancora tangibili. Alcune rivendicazioni vennero accolte negli anni successivi. Alle elezioni del 1919, anticipate di un anno, i socialisti raddoppiarono con la proporzionale i mandati in Consiglio nazionale. La settimana lavorativa di 48 ore entrò in vigore nel 1920 almeno nelle fabbriche e nel 1925 il popolo accettò un articolo costituzionale sull'Avs, tradotto in pratica però solo nel 1947. Durante ll sciopero fu anche chiesto il diritto di voto di voto per le donne; bisognerà attendere decenni. E in Ticino? Lo sciopero fu un fiasco: solo le categorie più organizzate del Sopraceneri cessarono il lavoro. Altrove, il movimento suscitò una generale ostilità. Un atteggiamento condiviso da gran parte della Romandia, che si spiega soprattutto con la profonda divisione tra Svizzera tedesca e latina creatasi durante il primo conflitto.

Saccheggiata la centrale del latte di Bellinzona

In quegli anni le condizioni dei salariati nel Ticino sono ancora più precarie che Oltralpe: salari più bassi, prezzi più alti. Come il resto della Svizzera, il cantone conosce parecchie agitazioni operaie: gli affiliati alla Camera del lavoro passano da meno di mille nel 1916 a quasi 3 mila nel 1917. Nel marzo 1918, a Bellinzona una folla esasperata saccheggia e incendia la centrale del latte. All'inizio di luglio, Lugano conosce per due giorni uno sciopero generale di notevole successo.

Aderiscono solo ferrovieri, scalpellini e Officine Ffs

Ma a novembre il Ticino non segue. Solo i ferrovieri di Airolo, Biasca e Bellinzona, gli scalpellini di Biasca e dintorni, gli operai dell'officina Ffs di Bellinzona e parte di quelli delle fabbriche di Bodio incrociano le braccia. Più per solidarietà che per convinzione. Altrove regna lo scetticismo quando non l'aperta ostilità. I ferrovieri luganesi "protestano vivamente" contro "l'ingiustificato sciopero generale", e così quelli di Chiasso. A Lugano e Locarno si formano "guardie civiche". A sciopero concluso, il 24, Guglielmo Canevascini e altri dirigenti socialisti saranno malmenati dalla folla.

Il 'fossato etnico'

Al di là delle spiegazioni contingenti, come la malattia di Canevascini (a letto con l'influenza nei giorni cruciali) e la censura telefonica e telegrafica, il fiasco di novembre è comprensibile solo se situato nel contesto del "fossato etnico" apertosi tra Svizzera latina e tedesca durante la guerra: la prima "tifosa" incondizionata dell'Intesa, la seconda accusata di simpatie per i "Centrali". Un fossato che divide profondamente gli stessi socialisti. Fino a metà 1917 il quotidiano "Libera Stampa" è ancor più virulenta dei giornali borghesi nel denunciare i "socialisti del Kaiser" alla Robert Grimm, accusati con il loro pacifismo o rivoluzionarismo di fare il gioco della Germania. E l'incerto cambiamento di rotta durante il 1918 è ormai tardivo per modificare inimicizie profondamente radicate.

Lo sciopero di novembre giunge del tutto inatteso. Gli stessi capi socialisti sono disorientati. Le rivendicazioni più politiche che economiche del "Soviet di Olten" appaiono pretestuose. Da un anno la stampa denuncia le "mene bolscevike" per "aprire la Svizzera agli eserciti tedeschi" e il 12, su "Gazzetta Ticinese", il popolare "Milesbo" (Emilio Bossi) - che a luglio avrebbe voluto vedere lo sciopero di Lugano "estendersi a tutto il Cantone" - non esita a sostenere che i "bolsceviki" svizzeri vogliono il caos su mandato della Germania sconfitta, "non foss'altro che nell'illusione di salvarla dal debito di guerra". Inoltre, la mobilitazione massiccia a guerra finita, mentre ancora miete vittime la "grippe spagnola", irrita non poco la popolazione. Non meraviglia dunque la reazione ostile. E neppure che i soldati ticinesi mobilitati per Zurigo partano cantando "morte ai tedeschi".

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