Ticino

'Siamo arrabbiate la nostra dignità è stata calpestata'

La chiusura dei negozi svizzeri Ovs, lascia a casa in Ticino 40 dipendenti, quasi tutti residenti. E senza un piano sociale. La frustrazione di Monica

Un momento della manifestazione di protesta indetta da UNIA all'esterno della filiale OVS di Bellinzona (foto Ti-Press)
23 luglio 2018
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Pensavano di sbaragliare il mercato europeo, sono rimasti al palo. E così dopo manco due anni hanno pensato bene di ritirare armi e (letteralmente) bagagli, lasciando a casa circa 1’200 dipendenti (personale amministrativo compreso). Una riga sul progetto. Poco più. Artefice della manovra da «capitalismo rampante» – per dirla con Giangiorgio Gargantini, sindacalista Unia – è stata ed è Ovs, griffe della moda italiana, tramite la società svizzera Sempione Fashion che nel 2016 aveva iniziato a gestire i punti di vendita Charles Vögele. Verrà ricordato come il licenziamento collettivo più importante degli ultimi anni in Svizzera. Senza paracadute. Sabato scorso, ultimo giorno di apertura a Bellinzona e Chiasso (Locarno aveva già chiuso i battenti mercoledì scorso) l’aria era quella della smobilitazione generale con i cartelli in tre lingue appesi alle vetrine. 

'Abbiamo lavorato due mesi, gli ultimi, in condizioni veramente pessime'

Hanno lo sguardo fiero, queste donne impiegate Ovs, e si capisce che puoi privarle di tutto, ma non della dignità. Proprio no. «Sono arrabbiata e indignata per come siamo state trattate» dice Monica, che sino a pochi giorni fa era dietro i banchi e gli scaffali di Locarno. «Sono andati via [i dirigenti, ndr] senza neanche ringraziarci del lavoro che avevamo fatto. Ma oltre a questo, sono estremamente arrabbiata perché la cosa è stata tirata troppo avanti». Senza mai raccontarla tutta, senza dire come stavano esattamente i fatti. «Abbiamo lavorato due mesi, gli ultimi, in condizioni veramente pessime. Io infatti ho preteso dalla direzione Fashion [la società svizzera che gestisce il marchio Ovs, ndr] che tutto questo avesse un termine» dice Monica. «Noi siamo stati avvisati solo lunedì scorso che la filiale di Locarno avrebbe chiuso mercoledì, due giorni dopo. E questo senza sapere niente sul nostro futuro, come dovevamo procedere con la chiusura e la stessa restituzione delle chiavi». Quasi surreale. «Nessuno ci ha detto nulla sino a mercoledì, l’ultimo giorno di apertura, quando ci hanno riferito che dovevamo pulire la sala mensa e il negozio. Insomma, dovevamo riconsegnare gli spazi puliti». Della serie, meglio risparmiare anche sulla società delle pulizie. E non finisce qui. Fra le varie disposizioni, finalmente giunte, anche quella di «riconsegnare la merce con il sistema di riferimento, vale a dire notificare articolo per articolo e riconsegnarlo all’Italia» racconta ancora la dipendente locarnese. Tutto questo, pulizia e stoccaggio, da eseguire fra mercoledì pomeriggio e giovedì. Stiamo parlando di un negozio di due piani con magazzino esterno. «La nostra dignità è stata veramente calpestata» conclude Monica che non usa mezzi termini: «Ci siamo tutti sentiti ricattati: volete lo stipendio? Fate quello che vi diciamo». Lapidaria l’ultima battuta: «Ci hanno fatto vivere un inferno». E parole di ringraziamento a tutti coloro che stanno manifestando solidarietà alle dipendenti, le esprime Carla che si rivolge direttamente «a chi ci governa» chiedendo «un sostegno a nome di tutti i dipendenti rimasti senza lavoro».

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