Ticino

'Un piano sociale sarebbe la fine della Curia'

L'ultimo numero del GdP è uscito oggi in bianco, con il saluto della direttrice. Il Vescovo non vede altra via d'uscita, per i dipendenti nessun piano sociale.

18 maggio 2018
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L'ultimo numero del Giornale del Popolo è uscito oggi, venerdì 18 maggio 2018. Completamente in bianco. Chi lo sfoglierà non troverà alcun contenuto. In questo modo la redazione ha voluto evocare la perdita che la fine del GdP rappresenta per il panorama informativo della Svizzera italiana. In quest'ultimo numero arrivato in edicola e nelle case degli abbonati, ci sono solo l'editoriale del Vescovo, “La decisione più difficile”, e le inserzioni pubblicitarie. Proprio quelle che, ironia amara, avrebbero decretato la fine del quotidiano cattolico, dopo il repentino fallimento di Publicitas.

In prima pagina anche la telegrafica comunicazione della direttrice, Alessandra Zumthor: «Care lettrici e cari lettori, dopo l'annuncio-shock del nostro editore non me la sono sentita di chiedere ai colleghi di scrivere i loro articoli per il quotidiano che avete sotto gli occhi. Per questo lo trovate tutto in bianco: ci scusiamo, ma pensiamo che possiate capirci, e d'altronde vuole anche essere l'espressione del nostro sconcerto e smarrimento». E dopo aver ricordato che nell'ultima pagina vi sono gli estremi per aiutare con una donazione i dipendenti del giornale, il saluto: «Anche noi speriamo che questo non sia un addio ma un arrivederci».  

Il punto che conclude una storia lunga 92 anni lo ha messo ieri l’editore. Depositando i bilanci in pretura a Lugano e interrompendo la pubblicazione del Giornale del Popolo. «Non ho avuto altra scelta», dice il vescovo Valerio Lazzeri quando gli chiediamo i motivi che lo hanno portato a procedere con l’istanza di fallimento. Ieri mattina la comunicazione alla direzione, poi ai dipendenti. Una trentina. Nessuno di loro si attendeva una fine così repentina: “Siamo tutti scioccati”.

Queste le parole ai microfoni della Rsi della direttrice, che nonostante fosse a conoscenza delle difficoltà finanziarie conseguenti al fallimento di Publicitas – la società a cui il GdP da gennaio si era affidato per la raccolta della pubblicità – pensava di poter provare a battere altre piste per coprire il buco, un po’ come già successo in passato. Buco quantificato da Zumthor in 400mila franchi, mentre l’editore preferisce non dare cifre, lasciando intendere che in gioco ci siano importi più importanti.

Vescovo Lazzeri, come commenta la situazione che si è venuta a creare?

È una realtà che ci addolora profondamente, soprattutto pensando a coloro che non potranno più lavorare e ai lettori che non avranno più il giornale tra le loro mani in futuro. È chiaramente un momento difficilissimo per tutti. Ma d’altra parte mi sono trovato dopo il fallimento di Publicitas in una situazione che non mi permetteva altra scelta: l’agenzia aveva promesso di garantire quasi la metà del budget del giornale. Il suo fallimento ci ha lasciati senza la necessaria liquidità per portare avanti un lavoro che giornalmente richiede una disponibilità molto importante di fondi. Ho dovuto scegliere: fare andare avanti il lavoro nell’impossibilità di dare lo stipendio il mese prossimo oppure chiudere adesso e fare in modo che dal mese prossimo per i lavoratori possano subentrare altre tutele.

Ha scelto la seconda opzione, garantendo lo stipendio di maggio. Non c’erano davvero altre possibilità per prolungare l’avventura?

Chiusa la collaborazione col CdT abbiamo fatto un tentativo estremo, decidendo di proseguire in modo autonomo. È chiaro che si può sempre trovare uno spiraglio per dire che non si è provato proprio tutto... Però non vorrei massacrare ulteriormente la capacità di sostenere situazioni che non hanno fondamento. Anche se ci fosse un’importante immissione di capitale tireremmo avanti qualche mese, ma poi ci troveremmo nella stessa situazione. Il problema è quello di un cambiamento di epoca, che rende il giornale cartaceo un prodotto delicato e difficilmente sostenibile.

Col senno di poi è tutto più facile, ma la strategia di camminare da soli non sembra essere stata quella giusta...

Bisogna tenere presente che il CdT era un partner importante del GdP, che ha permesso al giornale di andare avanti per diversi anni. Ma si trattava di un contratto, non di una presa a carico da parte del CdT con la garanzia di correggere qualsiasi situazione di difficoltà... Ciò significa che eravamo nel contratto con degli impegni, delle condizioni, che dovevamo poi essere in grado di onorare. A un dato punto ci siamo chiesti se eravamo ancora in grado di stipulare un nuovo contratto. Sono tutte valutazioni che hanno dei pro e dei contro. In quel momento ci è sembrato che era possibile andare avanti senza condizionarci troppo per il futuro, abbiamo tentato e purtroppo non è andata bene.

È stato espresso stupore da parte di collaboratori e direzione, quest’ultima impegnata a coprire il buco...

Le cifre io non voglio e non posso commentarle, visto che c’è un’istanza presentata al pretore. È chiaro però che se abbiamo deciso questo passo è perché una soluzione facile non c’era: del resto quante volte la Diocesi ha immesso capitali ben più consistenti di 400mila franchi per salvare il giornale... Se ci fosse stata questa possibilità, l’avremmo percorsa. È evidente che al di là di salvare momentaneamente una situazione, a un certo punto bisogna arrivare a dire “non ce la facciamo più”.

Un piano sociale non è previsto. Per i dipendenti cosa si prefigura?

La situazione per loro è quella di una società che ha intrapreso una procedura di fallimento. Sono evidentemente i primi creditori che possono vantare diritti e lo faranno nelle forme che sono a loro concesse. Per il momento, non possiamo dire altro, almeno finché il pretore non si sarà espresso. Evidentemente se non abbiamo fatto il piano sociale è perché ci siamo trovati nella condizione di non poterlo offrire. Un piano sociale per trenta collaboratori vuol dire mettere la Diocesi in ginocchio: un debito enorme che avrebbe condotto la Curia a portare i libri in pretura...

Avete valutato la possibilità di uscire con un settimanale?

Certo. Ma un settimanale non impiega più di quattro o cinque persone, quindi il disagio sarebbe stato ridotto di poco per i collaboratori. Gli investimenti inoltre non sono meno gravosi, senza peraltro alcuna garanzia di sostenibilità di una simile impresa. È chiaro che in futuro dovremo trovare il modo di continuare a esprimere la voce della Chiesa cattolica in altri modi. Finora lo abbiamo fatto col giornale, in prospettiva dovremo pensare e considerare quali altre possibilità ci offre la situazione attuale.

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