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‘Gli aiuti non erano per i faccendieri’, doppia condanna

La Corte delle Assise correzionali di Mendrisio ha condannato a 18 mesi sospesi un 72enne e una 55enne accusati di truffa aggravata

In sintesi:
  • Diciotto mesi sospesi ai due imputati accusati di truffa aggravata
  • Nell'aprile 2020 hanno ottenuto circa 154mila franchi con un credito Covid e cinque mesi di indennità per lavoro ridotto
Doppia condanna
(archivio Ti-Press)
31 gennaio 2025
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«Di concerto, come il gatto e la volpe, decidevano come portare avanti la società. Il gioco però si è rotto e sono cominciate le accuse e gli scaricabarile». È questa la conclusione a cui è arrivata la Corte delle Assise correzionali di Mendrisio, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, chiamata a giudicare un 72enne e una 55enne per una truffa Covid messa a segno nell’aprile 2020 quando erano gerente e dirigente effettivo (organo di fatto) di una società, oggi radiata, specializzata nell’acquisto, vendita e riparazione di veicoli. Alla truffa si aggiungono cinque mesi di indennità per lavoro ridotto, per un totale di circa 154mila franchi. Entrambi sono stati giudicati colpevoli del reato principale di truffa aggravata e condannati a 18 mesi. A differire è solo il periodo di sospensione condizionale: due anni per la donna e tre per l’uomo. Entrambi cittadini italiani, i due non saranno espulsi perché la Corte ha riconosciuto il caso di rigore.

La Corte, ha spiegato il giudice motivando la sentenza, ha effettuato «l’esame della credibilità delle dichiarazioni». Quelle del 72enne sono apparse «lineari e costanti» quando ha sostenuto che la donna «gli è praticamente subentrata nella gestione della società». A riprova c’è «un contratto che stabiliva il suo ruolo di direttore, responsabile vendita e del personale con uno stipendio fuori scala – 10mila franchi al mese – per un’attività di quel tipo». A questo si aggiungono «le dichiarazioni di altri dipendenti» e il fatto che «l’imputato non aveva particolare interesse nel continuare l’attività. Se lo ha fatto è stato per aiutare una persona con cui aveva un rapporto stretto, forse anche sentimentale». Le dichiarazioni della donna sono invece state ritenute «non credibili e smentite dagli atti. Basti pensare che gli unici stipendi riscontrati sono quelli che ha percepito dopo l’ottenimento del credito Covid e delle indennità di lavoro ridotto». La Corte, ha sottolineato ancora il giudice, è quindi arrivata alla «granitica convinzione» che la donna ha avuto il ruolo di «organo con potere decisionale».

La loro colpa è stata definita «soggettivamente grave: hanno agito per lucro cercando di approfittare degli aiuti messi a disposizione dalla Confederazione alle aziende per poter continuare a lavorare e non certo per permettere a faccendieri di farsi un tesoretto». Per la Corte «non ci sono particolari elementi di attenuazione della pena: l’imputata non ha collaborato e ha fatto lo scaricabarile; per l’imputato c’è stata qualche timida ammissione ma il ruolo di persona ignara quando ha passato una vita a gestire società non gli si addice», ha concluso Pagnamenta.

Il procuratore pubblico Daniele Galliano aveva chiesto per l’imputato una condanna a 20 mesi da espiare e 18 mesi sospesi per l’imputata. L’avvocato Yasar Ravi, legale della donna, si è battuto per il suo totale proscioglimento. L’avvocato Roberto Rulli per il 72enne ha chiesto una condanna non superiore ai 10 mesi sospesi.

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