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‘Il braccio e la mente’ portano alla truffa Covid

A processo un uomo e una donna che hanno ottenuto 154mila franchi e ancora oggi si rimpallano le responsabilità. Domani la sentenza

(archivio Ti-Press)
30 gennaio 2025
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È stata la segnalazione dell'Ufficio esecuzione e fallimenti di Mendrisio, che ha rese attente le autorità sul fallimento in successione di tre società riconducibili alle stesse persone, a far scattare l'inchiesta che ha portato in aula un 72enne e una 55enne, cittadini italiani domiciliati nel Mendrisiotto, chiamati a rispondere del reato principale di truffa aggravata. I due, comparsi davanti alla Corte delle Assise correzionali di Mendrisio presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, si sono rimpallati colpe e responsabilità. I fatti risalgono all'aprile del 2020, quando i due, come indicato nell'atto d'accusa del procuratore pubblico Daniele Galliano, erano rispettivamente gerente e dirigente effettivo di una società, oggi radiata, specializzata nell’acquisito, vendita e riparazione di autoveicoli. Grazie a un credito Covid e cinque mesi di indennità per lavoro ridotto, hanno ottenuto illecitamente 154mila franchi. Il pp ha chiesto per l’imputato una condanna a 20 mesi da espiare e cinque anni di espulsione dalla Svizzera. Mentre per la 55enne 18 mesi sospesi per un periodo di prova di due anni, rimettendosi alla Corte per l’espulsione. Per entrambi ha inoltre chiesto l'interdizione ad assumere cariche come organo di fatto in società. L’avvocato Yasar Ravi, legale della donna, si è battuto per il suo totale proscioglimento. Mentre per il 72enne l'avvocato Roberto Rulli ha chiesto una condanna non superiore ai 10 mesi sospesi per due anni e si è opposto all’espulsione. La corte pronuncerà la sentenza domani alle 15.30.

Due richieste di credito Covid

L'inchiesta ha fatto emergere che la società ha presentato due richieste di credito Covid: la prima è stata negata mentre la seconda è stata ottenuta. «Non sapevo cosa volesse dire – ha detto il 72enne, personaggio noto nella regione per le sue attività al limite della legalità in un garage di Novazzano, che avrebbe voluto trasformare in un postribolo –. Per me il Covid era una malattia. La firma è la mia perché ogni tanto mi facevano firmare qualcosa». La donna ha aggiunto di «non saperne niente. Non ho fatto io i bilanci falsi. Non avevo accesso ai conti». Come si evince dall'atto d'accusa, nei mesi prima di queste richieste, la 55enne era stata assunta con un contratto da 10mila franchi al mese come direttore, responsabile vendita e del personale anche se la ditta non ne aveva la capacità economica. «Vendevo auto e ne ho vendute tante», è stata la risposta dell'imputata. «Si è quasi autoassunta – ha fatto eco il titolare –. Non mi occupavo di noleggi, ogni tanto facevo qualche lavoro di meccanica ma ero in pensione e volevo chiudere: prima del 2020 la società andava bene». I due si sono rimpallati le responsabilità per ogni capo d'imputazione.

‘Un piano comune che non è riuscito?’

Nella sua requisitoria, Galliano ha evidenziato «l’odio» presente «tra due imputati che si accusano a vicenda e si rimpallano le dichiarazioni». Alla base «potrebbe esserci un piano comune che non è riuscito. Probabilmente tra i due c’è stata anche una relazione sentimentale, altrimenti questo risentimento non si spiega». Per l'accusa la chiamata in causa della donna è suffragata da «elementi oggettivi». A partire dal già citato contratto di lavoro che, per Galliano, «non ha senso: è uno stipendio alto per una carrozzeria e la società non se lo poteva permettere, al punto che gli unici stipendi presi dalla donna sono arrivati dopo il credito Covid e le indennità per lavoro ridotto». Su quest'ultimo formulario «era indicato il nome dell'imputata come persona responsabile». Vi sono poi le dichiarazioni del 72enne, «tante volte non lineari ma dal primo verbale ha puntato il dito verso la donna. L'impressione è che sia una persona irruenta e che butta lì le cose, ma non ha precedenti specifici e non è in grado di commettere questo tipo di truffe da solo». Per l'accusa «lui è il braccio che firma, ma la mente è qualcun altro: nel 2019 lo ha abbindolato facendo leva sui suoi sentimenti, puntando a soldi facili». Galliano ha descritto l'uomo «come spesso minimalista nei verbali, dice di non sapere, ma solo lui aveva accesso ai conti bancari. Non si è ravveduto, è spesso fuori controllo, piuttosto pericoloso e senza freni inibitori». La perizia psichiatrica ha evidenziato il rischio di recidiva ma nessuna scemata imputabilità.

‘Era una semplice dipendente’

«Era una semplice dipendente». L'avvocato Yasar Ravi lo ha ripetuto più volte nel corso della sua arringa difensiva. «Far credere che il 72enne, che non è un imprenditore alle prime armi, abbia lasciato le redini della società a una persona conosciuta pochi mesi prima cozza con i fatti. È ben più verosimile che la mia cliente fosse una semplice dipendente che si occupava della vendita di veicoli, senza potere decisionale e accesso ai conti». Per l'avvocato Roberto Rulli la «versione più credibile» è quella del 72enne: «Ha agito da succube, non ha guadagnato un franco e ha perso tutto, anche la salute psicofisica». Fino a prima di conoscere la donna «è stato un gran lavoratore, si è fatto da solo ed è arrivato all'età della pensione. Dopo essersi trovato con la società, aperta nel 2016 per il figlio da portare avanti, conosce per caso la 55enne». Da quel momento «si comincia a improvvisare: lui che ha sempre fatto il meccanico, non è in grado di tenere la contabilità e gestire società, si sente sottomesso, depresso e si mette nei guai fino al collo».