Il Premio Lavezzari 2024 ha portato alla ribalta l'opera umanitaria di Espérance nel Sudest asiatico. Un viaggio che per Ivan Schick dura da 25 anni
A prima vista sembra l’incipit di un romanzo: un concorso a premi lanciato da un centro commerciale, la sfida di una pedalata in un minuto e la vincita di un biglietto aereo, andata e ritorno Svizzera-Vietnam, per una persona. Inizia così il viaggio umanitario di Ivan Schick, allora 19enne, nel Sudest asiatico. Un viaggio che, ormai 25 anni dopo, dura ancora. Un’avventura umana e solidale che ieri, domenica, lo ha portato sul palco del Cinema Teatro di Chiasso. A essere insignita del Premio Lavezzari 2024, giunto alla sua edizione numero 58, è stata infatti l’Associazione da lui fondata nel 2001, Espérance ACTI (Aiuto e Cooperazione tra Ticino e Indocina) di Balerna. Un riconoscimento, peraltro non il primo (nel 2016 ha ricevuto il Premio Mari) che lo stesso Schick ha voluto condividere con tutte le Ong e i volontari che operano in Ticino. Sarà un caso (o forse no), ma il primo Premio massimo consegnato dalla Fondazione intitolata a Cesare e Iside Lavezzari nel 1967, come ha ricordato il presidente Michel Magnin, era andato al dottor Giuseppe Maggi, origini di Caneggio e una vita spesa per l’Africa. Oltre mezzo secolo più tardi il Lavezzari incrocia la rotta di Espérance. Una realtà che oltre alla speranza ha portato nelle aree rurali del Sudest asiatico – spingendosi anche sino in Nepal, Mozambico, Niger e Costa D’Avorio – scuole, acqua potabile, ponti. In due parole, una migliore qualità di vita per migliaia di persone.
Per il presidente Magnin l’associazione è «una delle medicine che aiutano a curare le ferite del mondo». In tutta onestà Ivan Schick ha sempre tenuto i piedi ben piantati a terra. «Dopo i primi anni – confessa, ancora emozionato per il riconoscimento – pensavamo di poter risolvere almeno alcune situazioni e tornare a casa da questa esperienza a cuor leggero. Invece i problemi cambiano, se ne presentano sempre di nuovi e diversi. Rattrista, quindi, costatare che una piccola associazione come Espérance sia oggi ancora una delle poche o uniche possibilità di miglioramento nelle aree di intervento nelle zone rurali. In 25 anni non siamo riusciti a trovare una soluzione a determinate problematiche». Da qui l’importanza, tiene a rimarcare, delle Ong, anche piccole, che operano nel sud del mondo grazie allo slancio del volontariato.
Proprio i volontari, anche giovani, dell’associazione rappresentano la sua vera forza. Lo testimonia una manifestazione come Espérance in Musica, nata anche grazie all’amicizia con i Vad Vuc (che l’hanno tenuta a battesimo). Un evento che ha saputo unire la spinta umanitaria della Ong e la solidarietà del territorio grazie, appunto, alla musica. Sullo schermo del Cinema Teatro scorrono le immagini del bel documentario di Andrea Palamara, girato nel 2019 in occasione del ventesimo di Espérance; e l’impatto con la verità dei luoghi in cui si reca l’associazione è potente.
Viene da pensare che davvero la vita sia l’arte dell’incontro... con il destino. Dicevamo di quel concorso e quel primo biglietto aereo. Quella pedalata per gioco, Ivan Schick, l’ha portata davvero lontano: l’avrebbe mai detto?
Assolutamente no – ci risponde con sincerità Schick –. Direi che quella di Espérance è una bella storia da raccontare e da condividere. Quando, pedalando, ho partecipato a quel concorso, vincendolo, avevo dalla mia una famigliarità con la bicicletta come corridore ciclista del Velo club Chiasso. Ho misurato tante strade, mi sono allenato una decina di anni su bici anche costose, acquistate con i sacrifici dei miei genitori, per non vincere in pratica mai nulla. L’unico premio è arrivato in un minuto, pedalando su un cyclo (l’ho scoperto poi) con i pedali di legno. Un evento che mi ha cambiato la vita: tutto è iniziato così. Oggi siamo qui con un gruppo favoloso di volontari che ha permesso tutto ciò.
Amicizia e buona volontà di mettersi a disposizione sono state il motore e hanno caratterizzato il ‘viaggio’ dell’associazione in realtà segnate da guerre e dittature feroci (come la Cambogia). Si vedono ancora i segni di quei passati tragici?
È una regione, quella del Sudest asiatico, che ha vissuto centinaia di anni di conflitti. Nei nostri primi anni di impegno in zone non proprio turistiche ci siamo imbattuti più volte in quelli che sono ancora oggi i risultati di una guerra finita ormai cinquant’anni fa e i cui segni nella popolazione sono evidenti. E penso all’‘agent orange’ – l’agente arancio, un erbicida tattico usato dall’esercito statunitense come defoliante sul Vietnam del sud tra il 1961 e il 1971, ndr –, che ha tuttora un grande impatto e del quale si discute a tutt’oggi sul piano anche diplomatico per trovare delle soluzioni. Come le Ong pure l’umanità solo lavorando assieme e trovando un accordo può dare delle risposte alle guerre. Da parte nostra possiamo portare, e lo facciamo anche nelle scuole, la nostra esperienza. Di più non possiamo fare.
Da tradizione, ogni anno la Fondazione Lavezzari porta alla ribalta pure gli studenti e le studentesse che, nel conseguire il diploma, hanno ottenuto risultati brillanti. Nel 2024 sono stati quattro, tre ragazze e un ragazzo. A ritirare il premio è toccato, infatti, a Giada Fantini di Balerna (Scuola specializzata per le professioni sanitarie e sociali, media 5,60), Laura Pons di Tremona, miglior maturità in assoluto al Liceo cantonale di Mendrisio (media 5,96) – assente perché impegnata nel suo primo esame alla facoltà di Medicina a Losanna –, Melissa Salihovic (Centro professionale sociosanitario medico-tecnico, media del 5,60) e Yuri Cereghetti di San Pietro (Centro professionale commerciale di Chiasso, media 5,60). Tutti giovani che si sono rivelati determinati e pronti a conquistare il loro avvenire mossi anche dalla passione per la strada scelta.