Mendrisiotto

Accoltellamento al Maghetti, le difese: 'In dubio pro reo'

Spaccio, violenza e regolamenti di conti: dai 7 anni e mezzo proposti dall’accusa alle richieste di massicce riduzioni di pena degli avvocati

Violenza, coltelli e feriti, la notte del 21 ottobre 2017 a Lugano (foto Ti-Press)
24 ottobre 2019
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«In dubio pro reo». Ovvero: nel dubbio in favore dell’imputato. Una frase latina che oggi, davanti alla Corte delle Assise criminali di Mendrisio – presieduta dalla giudice Manuela Frequin Taminelli – è stata pronunciata più volte dai legali che si sono susseguiti nelle rispettive arringhe: Michele Sisini, Michela Pedroli e Yasar Ravi. Al centro i tre imputati albanesi – due di 29 e il terzo di 25 anni – ritenuti colpevoli, nell’atto d’accusa firmato dalla procuratrice pubblica Margherita Lanzillo, di aver preso parte all’accoltellamento, il 21 ottobre del 2017, all’esterno della discoteca Blu Martini nel Quartiere Maghetti a Lugano.

Due fazioni a confronto – quella degli albanesi e quella capeggiata da un serbo (ma composta anche da sudamericani, già condannati per questi fatti a pene comprese tra i 24 mesi sospesi e i 5 anni) – per quello che secondo l’accusa è stato un regolamento di conti. Con feriti, più o meno gravi, e ipotesi di reato che variano dalla rissa al tentato omicidio (subordinatamente tentate lesioni gravi). Accusa, quest’ultima rivolta al 29enne difeso dall’avvocato Michele Sisini, per il quale la procuratrice pubblica ha chiesto una pena di 4 anni e l’espulsione dalla Svizzera per 15.

Stando all’inchiesta, sarebbe stato lui a brandire un coltello e ferire il ‘capobanda’ rivale. «Bisogna però provare la colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio», ha replicato il legale durante l’arringa. Già, perché con «15 persone che si azzuffavano» potrebbe essere stato qualcun altro, «menando fendenti a casaccio» ad aver ferito uno dei rivali. Contestata anche la qualifica del reato: una ferita, quella eventualmente inferta, «non profonda, guarita in breve tempo». Da qui, la richiesta che semmai venisse giudicato colpevole, il suo assistito si sarebbe macchiato di «lesioni semplici qualificate». Invocata, a questo punto, la riduzione della pena, «non superiore ai 3 anni e parzialmente sospesa». 

‘Un perfetto lavoro da ciocc’

Sette anni e mezzo di carcere. Tanti ne ha chiesti la procuratrice pubblica nei confronti del 25enne difeso dalla legale Michela Pedroli. Lui che, con base a Rovio e insieme all’altro 29enne (difeso da Yasar Ravi) ha gestito un importante giro di stupefacenti nel Mendrisiotto e nel Basso Ceresio. Ma anche lui, quella sera al Blu Martini – e anche nei periodi precedenti quando le fazioni erano già venute a contatto – era presente. «Un perfetto lavoro da ciocc», ha spiegato la legale riferendosi a uno dei diversi episodi di rissa descritti nell’atto d’accusa.

Lui, partito dall’Albania con «la speranza di realizzare il suo sogno», che però in Ticino «diventa un incubo». Non trovando lavoro, «decide che l’unica via d’uscita per guadagnare qualcosa sia quello di spacciare cocaina». E oltre agli stupefacenti, le serate, l’alcol, una presunta rapina – contestata durante l’arringa –, le botte. E la serata al Blu Martini dove lui «non ha sferrato pugni, non aveva coltelli». Ha «spintonato e tirato calci» e, per questo, «non dev’essere giudicato per un agire che non gli appartiene».

Il 21 ottobre c’era anche il terzo imputato, 29enne uscito malconcio (con diverse ferite) dai tafferugli. «Un quadro generale desolante» ha esordito nella sua arringa il legale Yasar Ravi. Avvocato che ha contestato l’ipotesi di reato di aggressione in merito ai fatti del Blu Martini, qualificandola piuttosto come rissa: «Stava discutendo», non v’era «volontà di aggredire qualcuno». Certo, «non bisogna dargli una medaglia. Ma non si tratta di aggressione».

Oltre un chilo di coca spacciata: ‘Condotta che non è socialmente accettabile’

Sette anni e mezzo di carcere, s’è detto sopra. È la richiesta di pena formulata dalla procuratrice pubblica Lanzillo (oltre all’espulsione dalla Svizzera per 15 anni) nei confronti del 29enne difeso da Yasar Ravi e del 25enne assistito da Michela Pedroli. Coppia che, negli ultimi anni, ha fatto irruzione nel mercato della droga a sud del ponte-diga di Melide. Infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti, l’accusa nei loro confronti.

Ben oltre un chilo di cocaina spacciata, molto pura, venduta a un prezzo concorrenziale. La bella vita, le serate in discoteca e poi i ‘fastidi’, o ‘regolamenti di conti’ culminati negli episodi di violenza citati. Della vendita di polvere bianca avevano fatto la loro professione, la merce veniva nascosta su suolo pubblico: nei boschi del Mendrisiotto, vicino al campo da calcio e alle scuole elementari di Melano.

Una precauzione per evitare che fossero pizzicati dalle autorità con addosso più di quanto potesse essere considerata una dose personale. Fino al loro arresto, avvenuto il 3 luglio del 2018, nell’ambito dell’Operazione Toro. Reati, quelli legati allo stupefacente, non contestati dalle difese. «Non aveva il minimo per campare e ridotto alla canna del gas non ha visto altre alternative» ha detto ieri in aula l’avvocato Michela Pedroli in merito al suo assistito e al suo ruolo nello spaccio. Lui che ha vissuto l’arresto come «il giorno della liberazione».

Nel complesso, per il 25enne la legale ha chiesto una «massiccia riduzione della pena», che non ecceda i 36 mesi di carcere. Pena non oltre i 4 anni per il ‘compagno di lavoro’. È questa la richiesta di Ravi, il quale non ha contestato i reati legati alla droga. Contestati, invece, quelli legati ad alcuni episodi di rissa e aggressione: «Per diversi reati è reo confesso, per altri i fatti non sono stati sufficientemente accertati». Ecco, dunque, il principio «in dubio pro reo». Pur riconoscendo, nel complesso, la «condotta del suo assistito e degli altri imputati non è socialmente accettabile».

Toccherà ora alla Corte, riunitasi ieri nel pomeriggio in Camera di consiglio, esprimersi. Sentenza che verrà comunicata alle parti domani pomeriggio. 

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