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Abusi sessuali sulla figlia, inflitti 12 anni di prigione

Il giudice Amos Pagnamenta ha aumentato la pena richiesta dalla procuratrice pubblica Chiara Buzzi, che ne ha proposti 10

dodici anni di violenze
(Ti-Press)
11 marzo 2025
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«Inqualificabile». «Mostruoso». Questi sono solo alcuni degli aggettivi usati dal presidente della Corte delle Assise criminali, Amos Pagnamenta, nei confronti del 68enne accusato di aver abusato di sua figlia adottiva. «Un comportamento gravissimo» che gli è costato 12 anni di carcere per aver commesso i reati di ripetuti atti sessuali con fanciulli, ripetuta coazione sessuale, ripetuta violenza carnale e ripetuta pornografia. La sentenza della Corte è stata superiore rispetto a quanto proposto dalla procuratrice pubblica Chiara Buzzi, che aveva chiesto almeno dieci anni di prigione.

‘La giovane è credibile’

Da come è emerso nella prima giornata di dibattimento, il padre ha iniziato ad abusare della figlia adottiva quando lei aveva otto anni. Dopo i primi toccamenti è stato un crescendo: in tutto sono emerse 198 congiunzioni carnali durate fino a qualche settimana prima della denuncia della ragazza diventata nel frattempo maggiorenne.

Nonostante dal primo all’ultimo episodio siano passati 12 anni, la Corte – composta anche dai giudici a latere Fabrizio Monaci e Paolo Bordoli e dagli assessori giurati – ha creduto al racconto della vittima, patrocinata dall’avvocato Demetra Giovanettina: «Lei ha fornito indicazioni costanti e coerenti. Sono state ravvisate delle incongruenze, ma queste hanno reso il suo racconto ancor più credibile: chi subisce abusi fin da bambina non può ricordare tutto con precisione». Al contrario, le dichiarazioni del padre «sono state incoerenti. Tutto quello che diceva era solo per salvare la sua posizione processuale. Arrampicandosi sugli specchi e tacciando anche di bugiarda la figlia, ha mentito in molti aspetti della vicenda: inizialmente ha detto di aver avuto i primi rapporti dopo il decesso della moglie nel 2022, poi che erano iniziati nel 2021 e, infine – costretto, date le prove contro di lui –, ha affermato che erano iniziate a fine 2019, badando però di precisare che sua figlia avesse già compiuto 16 anni». Oltre a ciò il condannato «ha mentito anche in merito al suo stato psicologico».

‘Temeva l’abbandono’

A partire dall’adolescenza della vittima sono iniziati gli episodi più gravi, ma la pressione psicologica che l’uomo esercitava su sua figlia erano tali da non permetterle di ribellarsi: «Lei aveva inizialmente cercato di sottrarsi dal contatto del padre, ma per paura di non perdere la sua unica figura di riferimento lo ha assecondato. Temeva di essere nuovamente abbandonata. Il padre la ostacolava attraverso manipolazioni fino a farla sentire in colpa per i fatti dei quali non è responsabile», ha detto Pagnamenta. Infatti il comportamento subdolo dell’uomo è durato anni: «Ha introdotto in maniera graduale le pratiche sessuali, obbligandola ogni volta a mantenere il silenzio per non far capire agli altri quali erano le sue abitudini, il tutto strumentalizzando la vittima che era priva di qualsiasi esperienza sessuale. La giovane non aveva possibilità di uscita e il 68enne sapeva che la figlia non era libera di scegliere e che era succube di lui».

Non un pedofilo, ma…

Al termine della prima giornata processuale, il 68enne cittadino svizzero e italiano non si è scusato con la vittima, ma ha voluto precisare: «Non sono un pedofilo». Pagnamenta ha voluto sottolineare che «non sono solo i pedofili a commettere abusi sui minori. Dal profilo oggettivo quanto ha fatto è di una gravità mostruosa e resa ancor più critica in quanto si è trattato di sua figlia. Chiunque sa che non si deve fare sesso con dei bambini e soprattutto non si devono coinvolgere i figli in queste pratiche». Inqualificabile, invece, «il voler addossare le colpe alla figlia, mentre lui, poverino, accettava quasi a malincuore tali rapporti». Le modalità usate dall’uomo sono risultate «atroci» in quanto «ha ridotto la giovane a un mero oggetto per il suo soddisfacimento sessuale».

‘Mai collaborativo’

Ad aggravare la situazione del padre della vittima, c’è anche il comportamento avuto nei confronti degli inquirenti: «Non ha mai mostrato la benché minima collaborazione, ammettendo solo fatti approvati. Si è limitato ad andare a rimorchio e ciò dimostra ulteriormente la mancanza di sensibilità dei gesti da lui compiuti». A suo favore, la Corte non ha trovato nessuna attenuante se non l’età. Dato il rischio di recidiva è stato portato direttamente in carcere al termine del procedimento penale dove dovrà scontare i 12 anni di carcere. I suoi avvocati Matteo Genovini e Maricia Dazzi avevano chiesto 24 mesi di carcere sospesi e valuteranno se presentare ricorso contro la sentenza. La loro proposta di pena l’avevano motivata affermando: «In un primo momento la ragazza aveva sostenuto di aver subito un rapporto ogni due mesi mentre in un altro interrogatorio parlava di due episodi al mese. Una differenza notevole che dimostra la non credibilità della vittima. Non è possibile escludere che lei non abbia un disturbo patologico e tutto questo sia frutto di una elaborazione errata dei suoi ricordi». Pagnamenta, ritenendo «non pertinenti» le incongruenze rilevate dai due legali, ha ribadito l’onestà del racconto della ragazza. Genovini e Dazzi, invece, non si erano opposti in merito ai 30mila franchi di risarcimento chiesti da Giovanettina.

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