Il Consiglio di Stato era al corrente del destino del centro sociale di Lugano, ma dalle risposte a due atti parlamentari emergono versioni divergenti
Il Consiglio di Stato, in particolare il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi, era stato informato dello sgombero del centro sociale dall’ex Macello di Lugano. Questo aspetto della vicenda è ormai assodato. Tanto che ieri, Gobbi è stato interrogato dal procuratore generale Andrea Pagani, nell’ambito della seconda inchiesta penale, in qualità di persona informata sui fatti. Un’inchiesta che, lo ricordiamo, ipotizza i reati di abuso di autorità, violazione delle regole dell’arte edilizia e infrazione alla legge sulla protezione dell’ambiente e che, stando alla Rsi che ha interpellato il consigliere di Stato, sarebbe alle battute finali.
Eppure, come riportato nell’atto parlamentare presentato il 27 gennaio dai deputati in Gran Consiglio Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini (Movimento per il socialismo), nella premessa alle risposte dell’interrogazione del 1° giugno del 2021 (Verdi del Ticino, primo firmatario Marco Noi), il Consiglio di Stato aveva dapprima negato di essere al corrente dello sgombero. Tanto che scrisse: “Rilevato poi come lo stabile oggetto dello sgombero è di proprietà della Città di Lugano, non vi è chi non veda che, ovviamente, la decisione di intervento spettava unicamente all’Esecutivo comunale. Il Consiglio di Stato non è stato di conseguenza informato o coinvolto in una decisione che non era di sua competenza”.
Sempre nella stessa premessa, nella frase successiva il governo cantonale, però, si contraddisse: “La Polizia cantonale è stata messa a disposizione dal Consiglio di Stato in base alla richiesta di supporto del Municipio di Lugano per l’eventuale sgombero forzoso in base alle decisioni del Municipio, così come per la gestione di eventuali manifestazioni di protesta non autorizzate a causa della procedura di sgombero degli edifici ex Macello”. Gobbi alla Rsi ha confermato che “nelle settimane precedenti il Municipio di Lugano chiese il supporto della Polizia cantonale per gestire l’operazione. Sostegno che il Governo concesse, ponendo precise condizioni. A cominciare dal fatto che si sarebbe dovuto evitare l’uso della forza”. Quindi, evidentemente, l’Esecutivo cantonale era perlomeno a conoscenza di quanto sarebbe potuto capitare nella notte tra il 29 e il 30 maggio del 2021.
L’atto parlamentare dell’Mps ha preso spunto dalle novità emerse nell’ambito della seconda inchiesta penale coordinata dal pg Andrea Pagani. Il Consiglio di Stato ha precisato “che quanto riportato nell’interrogazione in relazione a un colloquio intercorso tra lo Stato Maggiore, il direttore del Dipartimento delle istituzioni e altri interlocutori quel giorno, era contenuto in un documento fornito in fase d’inchiesta, come richiesto dal procuratore generale, titolare dell’incarto”. Il governo cantonale sottolinea inoltre che al titolare dell’inchiesta era stata messa a disposizione anche “la frase originale relativa all’annotazione sul giornale d’impiego della Polizia cantonale delle ore 19.55: ‘Conferito con Gobbi e Cdt Polca e sindaco Lugano. Tutti concordano con la decisione di bloccare accesso Vanoni e procedere allo sgombero del Mulino’”.
Una frase che conferma, perlomeno, che il direttore del Dipartimento delle istituzioni fosse al corrente di quanto stesse capitando quella sera di poco meno di quattro anni fa a Lugano. Non, però, dell’abbattimento dell’edificio F, per il quale venne data luce verde dall'autorità politica cittadina: lo ha spiegato sempre Gobbi alla Rsi: “Nessuno mi parlò mai di demolizione”. Nemmeno la sera del 29 maggio del 2021, “quando il consigliere di Stato venne contattato dalla polizia poco prima delle 20, mentre si trovava a casa sua”.