Luganese

Il rogo al White di Lugano torna in aula

In Appello il processo che ha coinvolto un noto imprenditore luganese, condannato nel 2022 a quattro anni per incendio intenzionale e tentata truffa

Il ricorso in Appello era già stato annunciato subito dopo la sentenza
(Rescue Media)
2 gennaio 2024
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Anche se le fiamme sono state domate, il processo sull’incendio doloso al White di via Nassa continua a essere un tema scottante. Il prossimo 22 gennaio, il noto imprenditore luganese Bruno Balmelli, rappresentato dall’avvocato Ettore Item, tornerà infatti in aula davanti alla Corte d’appello, presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will, dopo che il 21 ottobre 2022 era stato condannato in prima istanza a una pena detentiva di quattro anni interamente da espiare. Insieme a lui sarà presente in aula anche il 36enne, vicino a Balmelli, che era stato coinvolto nell’ideazione del piano e che era stato condannato a una pena di 32 mesi, dei quali un anno da espiare. Quest’ultimo è rappresentato dall’avvocato Nicola Poretti, mentre l’inchiesta è condotta dalla procuratrice pubblica Margherita Lanzillo.

In prima istanza, Item si era battuto per l’assoluzione dal reato di incendio intenzionale e la tentata truffa limitata a 180mila franchi o, subordinatamente, la derubricazione da incendio intenzionale a danneggiamento, con una pena sospesa con la condizionale.

‘Volevo solo disfarmi della merce’

L’idea dell’incendio, appiccato nel febbraio del 2022, era nata dopo che Balmelli aveva chiesto aiuto a un 45enne campano, per disfarsi di uno stock di merce invenduta e farsi rimborsare dall’assicurazione 200mila franchi per coprire dei debiti del negozio. Quest’ultimo, che l’imprenditore aveva conosciuto in un bar che frequentava, ha poi ‘delegato’ l’esecuzione materiale del rogo a un suo compaesano di 38 anni. Questi sono stati rispettivamente condannati a 34 mesi, dei quali 16 da espiare, e a tre anni, dei quali 18 mesi da espiare.

La tesi difensiva dell’imprenditore sosteneva che, pur avendo effettivamente tentato di commettere una truffa, egli non avesse voluto che venisse appiccato un incendio. «Non mi sarebbe andato bene dare fuoco al negozio – aveva dichiarato –, perché avrei voluto continuare l’attività. Pensavo che forse avrebbero bruciato la merce, ma fuori da lì». Una versione alla quale il giudice Amos Pagnamenta non aveva creduto, affermando nella sentenza che “non si comprende come una sola persona, nottetempo, avrebbe potuto svuotare un negozio in pieno centro di Lugano, asportando merce per un valore d’acquisto di quasi due milioni”. Secondo il giudice sarebbe stato illogico anche bruciarla in seguito, anziché tentare di venderla sul mercato nero.

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