Luganese

Si torna in aula per il crollo nella galleria del San Salvatore

In Corte d'appello si è cercato di stabilire, grazie a una nuova perizia, se vi fosse un nesso di causalità tra quanto avvenuto e l'operato degli imputati

Un’inchiesta molto tecnica
(Ti-Press)
18 ottobre 2023
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Un’inchiesta caratterizzata da una «difficoltà oggettiva nell’accertamento dei fatti», quella discussa durante il processo di secondo grado per il crollo avvenuto nella galleria autostradale del San Salvatore, fra Melide e Grancia, l’8 giugno 2017. Il secondo episodio del dibattimento, svolto nell’aula penale del Pretorio di Mendrisio, si è tenuto dopo che sia le difese che l’Ufficio federale delle strade (Ustra) – costituitosi accusatore privato – hanno presentato ricorsi in appello, dopo la sentenza di primo grado. Una sentenza, quella pronunciata il 30 gennaio del 2019 da Mauro Ermani, che aveva riconosciuto colpevoli di violazione delle regole dell’arte edilizia per negligenza un 58enne ingegnere (responsabile della direzione locale dei lavori), un 40enne (assistente alla direzione dei lavori) e un 71enne impresario costruttore (vice responsabile della direzione locale dei lavori). L’appello per quest’ultimo – a sorpresa sia della Corte che del suo difensore, l’avvocato Fulvio Pelli – è stato ritirato dall’avvocato Luigi Mattei – rappresentante dell’Ustra – dopo che la stessa perizia richiesta dall’accusatore privato ha ritenuto non rilevante il suo ruolo all’interno della vicenda. Le difese degli altri due, rappresentati rispettivamente dagli avvocati Luca Marcellini e Carlo Borradori, hanno chiesto il totale proscioglimento, mentre la procuratrice pubblica Chiara Borelli, ha richiesto che venissero condannati anche per le imputazioni di franamento per negligenza e di perturbamento della circolazione per negligenza.

Fori drenanti e idrogel

Come detto, l’accertamento di quanto accaduto non è stato facile, da una parte, data la natura molto tecnica di quanto accaduto, dall’altra, per la difficoltà oggettiva di verificare la validità di lavori ultimati nel 2015. Nodo cruciale la nuova perizia, ordinata dalla Corte d’appello, su richiesta dell’Ufficio federale delle strade (Ustra), che aveva come scopo definire se vi sia stata effettiva negligenza da parte degli imputati. Per l’accusa, tanto per quella pubblica che per quella privata, non vi sarebbero dubbi, in particolare per il 58enne, che nel ruolo di responsabile dei lavori, avrebbe operato con «superficialità» e con un «atteggiamento quasi presuntuoso». Cercando di semplificare il più possibile, un ruolo fondamentale è stato assegnato ai fori di drenaggio, che avevano lo scopo di ridurre la pressione dell’acqua che filtrava dalla roccia sulle pareti della galleria. Un altro elemento menzionato a più riprese dall’accusa nel corso del dibattimento davanti alla Corte d’appello e di revisione penale – presieduta dal giudice Angelo Olgiati, giudici a latere Matteo Galante e Damiano Stefani –, è l’idrogel, ossia una sostanza isolante applicata al soffitto della galleria una volta rimossa la calotta interessata dai lavori. L’idrogel è rilevante, in quanto la sua applicazione causa il deflusso dell’acqua verso le pareti laterali, che avrebbero necessitato quindi dei summenzionati fori. La supposta superficialità del 58enne, secondo Mattei, risiederebbe nell’aver sottovalutato la potenziale pressione che l’acqua avrebbe potuto applicare alle pareti, visto il massiccio utilizzo di gel isolante.

«Era perfettamente a conoscenza dei problemi legati all’utilizzo dell’idrogel – ha detto Mattei –. La decisione di applicare i fori è stata presa solo nelle ultime fasi di progettazione,e non è stata fatta nessuna analisi della situazione per deciderne il diametro e il numero. I fori applicati erano troppo piccoli e troppo corti, e si intasavano di polvere e dello stesso idrogel, rendendoli inutili». Va detto inoltre, che sulla parete interessata dal crollo, questi fori non erano stati proprio applicati. Ed è anche a causa di questi, che il 40enne assistente ai lavori sarebbe stato coinvolto nel procedimento, dal momento che a lui era stato assegnato il compito di controllarne lo stato. Compito non svolto dal momento che, secondo quanto dichiarato da lui stesso nei verbali, non era nemmeno in grado di distinguere i fori di drenaggio da quelli di iniezione. «Non solo non ne ha mai controllato l’efficienza – ha aggiunto Mattei –, ma nemmeno la loro esistenza».

Diverse le concause

Sempre secondo la perizia, l’origine del crollo non è riconducibile all’assenza dei fori, ma vi sarebbe una serie di concause, molte delle quali non dipendenti dall’operato degli imputati. «Non si può escludere che, se i fori fossero stati eseguiti come previsto, avrebbero potuto evitare il crollo – precisa lo stesso Mattei –. Si poteva però ridurre in maniera marcata l’accadimento, e il rischio residuo andava indicato in maniera chiara alla committenza». Secondo il difensore Marcellini però, la questione dell’inadeguatezza dei fori sarebbe irrilevante, dal momento che questa non è contenuta nell’atto d’accusa. «Non vi è nessun nesso di causalità» ha detto, precisando che, secondo le stesse indicazioni fornite dal perito, anche se tutte le supposte omissioni contenute nell’atto d’accusa fossero state eseguite, non si avrebbe comunque la certezza che il crollo non si sarebbe verificato. Dal canto suo, Borradori ha insistito sul ruolo subordinato e marginale del suo assistito, «una persona non formata alla quale non erano mai state date delle indicazioni chiare sul lavoro da svolgere». L’avvocato ha criticato inoltre lo svolgimento del dibattimento in prima istanza, ritenendo che sia stato eseguito «in fretta e furia, con una sentenza arrivata a un soffio dalla prescrizione, che sembra essere stata pronunciata solo per interrompere quest’ultima».

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