Luganese

Il ‘picchiatore’ ex militante dell’Isis sarà espulso

Il 33enne afghano era stato condannato a due anni e mezzo di prigione lo scorso febbraio, ma la Carp aveva accolto il ricorso della difesa

L’imputato ha fornito risposte evasive
(Archivio Ti-Press)
16 ottobre 2023
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Prima era stato poliziotto in Afghanistan, poi combattente per lo Stato Islamico in Siria, infine, come richiedente l’asilo giunse in Svizzera nel 2015, dove però si è reso responsabile di diversi crimini. L’uomo, un 33enne afghano, è stato condannato lo scorso febbraio a due anni e mezzo di carcere da espiare per rissa, lesioni gravi e ripetuta infrazione alla legge sugli stupefacenti. Stamane, l’imputato è ricomparso in aula penale, dopo che la Corte di appello e revisione penale ha accolto il ricorso presentato dalla difesa contro il dispositivo relativo all’espulsione dalla Svizzera per sette anni, contenuto nella sentenza pronunciata dal giudice Siro Quadri.

Versioni ‘evasive e contraddittorie’

I giudici di secondo grado hanno ritenuto non sufficientemente motivata e approfondita la questione dell’espulsione dal territorio svizzero. Oggi si è dunque ritornati in aula, dove il presidente della Corte delle Assise criminali di Lugano (giudici a latere Giovanna Canepa Meuli e Aurelio Facchi) ha ripercorso la vita del 33enne, i possibili rischi di un suo ritorno in Afghanistan e confermato la decisione presa in febbraio, dichiarando che «far parte dell’etnia Hazara, che era discriminata nel suo Paese, non è una condizione assoluta per rimanere» e che in questi casi «si chiede di collaborare, ma l’imputato lo ha fatto pochissimo». Dal canto suo, la procuratrice pubblica Valentina Tuoni, nella sua breve requisitoria, ha ribadito le richieste di espulsione nei confronti dell’uomo. Secondo l’accusa, l'imputato ha militato nell’esercito islamico (Isis) in Siria, ha fornito versioni evasive, inconsistenti e contraddittorie, senza provare le presunte minacce che avrebbe subito.

Il racconto non credibile

Il 33enne, nella sua infanzia ha seguito la scuola coranica per quattro anni e successivamente ha lavorato prima come carrozziere e poi come agente di polizia locale, così come suo padre e suo fratello, che furono poliziotti dell’antiterrorismo prima della presa del potere dei talebani. Tramite il fratello, nel frattempo deceduto, ha raccontato di essere riuscito a scappare dall’Afghanistan grazie a dei passatori fino in Siria, dove sostiene di essere stato obbligato a combattere per lo Stato Islamico. Durante gli scontri fu colpito dall’onda d’urto provocata da una granata e trasportato in ospedale in Iran. Da lì iniziò la sua fuga per tentare di avere una vita ‘normale’. I suoi genitori, i suoi fratelli e i suoi figli di quindici e tredici anni, vivono tutti insieme a Kabul, mentre la moglie vive in Iran e un altro fratello, dove i genitori passano buona parte del tempo, vive ad Herat, sempre in Afghanistan. Questa narrazione riprodotta in aula dall’imputato venne già considerata “non credibile”, nella sentenza del 2018, pronunciata dai giudici del Tribunale amministrativo federale di San Gallo, che avevano stabilito che l’uomo non poteva rimanere sul territorio elvetico. Nel dibattimento odierno, il giudice Quadri, che nel processo di fine febbraio non aveva dato particolarmente peso alle domande riguardanti la sua vita, ritenendo di non dover approfondire una decisione già adottata dalle autorità preposte, ha messo in evidenza che «le dichiarazioni di oggi, sono le medesime esposte in quella sentenza».

‘Lo riconoscerebbero dagli occhi’

Secondo la difesa, qualora il 33enne dovesse essere espulso e di conseguenza rientrare nel suo Paese d’origine, «la sua vita sarebbe a rischio perché fa parte della etnia Hazara» e, anche se sui suoi documenti non c’è scritta l’etnia, «lo riconoscerebbero dagli occhi e dalla morfologia del volto, appena sceso dall’aeroplano». Per la pp Valentina Tuoni, invece, non ci sarebbe questo rischio e per di più il 33enne, secondo le indicazioni dell’Unione europea, avrebbe dovuto essere preso a carico dalla Grecia. L’imputato ha ribattuto che, se non avesse ricevuto minacce non sarebbe fuggito dal suo Paese. Il giudice, nel motivare la conferma dell’espulsione per sette anni dalla Svizzera, ha sottolineato che il 33enne, in otto anni, non si è integrato in Svizzera, non parla nessuna lingua nazionale, non ha un lavoro e non ha legami familiari o sociali.

Attualmente incarcerato

Il 33enne attualmente sta scontando una pena detentiva di due anni e sei mesi per lesioni gravi e rissa avvenuta il 9 aprile 2022 di fronte a un esercizio pubblico in centro città. La prima vittima, che aveva subito parecchie percosse nel tafferuglio scoppiato fuori dalla discoteca, è addirittura stata definita clinicamente in pericolo di vita. Il 33enne afghano lo ha colpito e ha continuato a colpirlo con pugni e calci anche quando era inerme a terra, aveva sostenuto la procuratrice pubblica Valentina Tuoni nel processo che si è celebrato a fine febbraio. In una seconda rissa, nel luglio dell’anno scorso, l’afghano ha provocato lievi fratture ed escoriazioni a un’altra persona. Non solo. L’uomo ha inoltre spacciato e consumato droga. Tuoni, ritenendo l’imputato una persona pericolosa, aveva pertanto chiesto una pena di quattro anni e mezzo di carcere da espiare, l’espulsione dalla Svizzera per dieci anni e il trattamento ambulatoriale in prigione.

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