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‘Smetti di fumare’: ora è una professione

Quasi terminato il Certificato di studi avanzati in tabaccologia alla Supsi: una prima svizzera. Tra vecchi vizi e nuovi trend, un tema sempre attuale

Vecchie e nuove modalità di fumo
(Ti-Press)
24 aprile 2023
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C’è una nuova professione certificata in Ticino, o meglio in Svizzera trattandosi di una prima nazionale. Si sta infatti concludendo alla Supsi la prima edizione del Certificato di studi avanzati (Cas) in tabaccologia. Una ventina i partecipanti e ampio l’interesse suscitato anche oltre i confini cantonali. Si tratta sostanzialmente di persone già professionalmente attive nel settore sanitario che hanno ricevuto una formazione addizionale e specifica per aiutare chi desidera smettere di fumare. Ne abbiamo parlato con Mauro Realini, docente e ricercatore al Dipartimento economia, socialità e sanità della Supsi, che si è occupato della didattica del corso.

I diplomati avranno il titolo di consulenti in tabaccologia. Di cosa si occuperanno effettivamente?

Concretamente, potranno svolgere consulenza e accompagnamento nel processo di disassuefazione dal vizio del tabacco e dalla nicotina alle persone che lo desidereranno. In tutte le modalità: dai colloqui esplorativi all’affiancamento a lungo termine. Sono tutti studenti già operativi nel settore sanitario. Il Cas è stato frequentato non solo da medici, ma anche da fisioterapisti, infermieri, psicologi e psicoterapeuti. Proprio perché trattandosi di una dipendenza, il tema non riguarda solo i dottori. Abbiamo diciotto partecipanti, non sono pochi: pensavamo di partire con una decina, è stata una bella sorpresa. Di questi, poco più della metà sono medici. Specialisti in pneumologia o psichiatria, ma anche medici di famiglia. Quelli con formazione di base in medicina potranno anche prescrivere farmaci sostitutivi che aiutano nella lotta al tabagismo, mentre fisioterapisti e infermieri potranno farlo solo su delega. Inoltre, al momento, solo medici e psicoterapeuti potranno fatturare pienamente come tabaccologi. Ma è in atto una consultazione alle camere federali per modificare la legge ed estendere queste facoltà anche alle altre professioni sanitarie.

Com’è nata l’idea di organizzare un corso di questo genere?

La suggestione ci è arrivata dalla Lega polmonare ticinese, nell’autunno del 2021. Loro hanno già una propria attività di consulenza per le persone che vogliono smettere di fumare. Poi c’era il dottor Jacques Philippe Blanc, che circa vent’anni fa è stato il pioniere della tabaccologia in Ticino con il suo ambulatorio all’Ospedale Italiano, ma che adesso è in pensione. Nel Mendrisiotto, in questo campo è attivo il dottor Vanni Manzocchi. L’idea della Lega era quella di allargare un po’ il campo, per dare un valore maggiore e più strutturato a questa branca. Avere più figure professionali alle quali rivolgersi, dal medico di famiglia all’infermiere, senza dover far capo a quei medici che operano negli ospedali, è un valore aggiunto e un’arma in più nella lotta al tabagismo. Ci è sembrata da subito un’iniziativa meritevole, siamo quindi partiti a maggio del 2022.

Dei danni del fumo si parla da decenni. Come mai proprio adesso questo Cas?

Perché i tempi sono maturi. C’è anche una sensibilità maggiore nella società. Lo si percepisce inoltre dalle richieste che arrivano dai pazienti, che sono aumentate rispetto al passato, e dagli operatori del settore. Ci sono le persone che desiderano smettere di fumare perché iniziano a sentire disturbi fisici. Forse anche grazie al Covid, il tema della respirazione di qualità è diventato centrale per molti. E poi, c’è l’aspetto psicologico: sono sempre di più le persone stufe di essere schiave di questa dipendenza. Non va infine sottovalutata nemmeno la componente finanziaria, del costo delle sigarette. Anche il clima politico è cambiato: in Svizzera, rispetto ad altri Paesi, certe orecchie politiche sono rimaste indifferenti più a lungo a questo tema. Ma soprattutto, direi che a essere cresciuta è la maggior consapevolezza dei danni del fumo, che emerge soprattutto fra le persone di mezza età, dai 40 ai 60 anni.

E i giovani?

Con loro bisogna pensare a tattiche mirate. Credo che i risultati migliori possa darli la sensibilizzazione peer to peer. La repressione funziona fino a un certo punto, soprattutto con i giovani: più proibisci qualcosa, più lo rendi appetibile. La Lega polmonare infatti ha già un progetto in questo senso. Non è comunque un compito facile: i giovani in particolare sono oggetto delle campagne, spesso anche molto aggressive, dell’industria del tabacco. La sfida si sta spostando dal tabacco tradizionale alle nuove modalità di ‘fumo’, che sono sempre più in voga. Anche grazie ai grandi mezzi di cui dispone, l’industria del tabacco è in grado di rendere queste novità molto appetibili soprattutto per le nuove generazioni.

Si riferisce alle sigarette elettroniche?

Sì. ‘Svapare’ e ‘Puff’ sono diventati parole comuni nel lessico soprattutto dei giovani. Sono prodotti che non contengono tabacco, ma spesso hanno comunque nicotina. Questa però, anche assunta da sola, crea comunque danni ai tessuti e dipendenza. Bisogna ancora aspettare le evidenze scientifiche di studi che approfondiscano le conseguenze negative del consumo di queste sigarette, ma si può già dire che non è un’abitudine salutare. Dal punto di vista biochimico, la nicotina è in assoluto una delle sostanze che crea maggior dipendenza, poco sotto agli oppiacei. E poi ci sono i prodotti di tabacco riscaldato, e altri ancora già esistenti come lo ‘snus’ (tabacco umido in polvere per uso orale, ndr), che sta tornando di moda.

Tornando al corso, com’è stato strutturato?

Come detto, il Cas vuole rafforzare gli strumenti dei professionisti sanitari per aiutare le persone a smettere di fumare. Per farlo, lo abbiamo diviso in tre moduli. Il primo dedicato a inquadrare il fenomeno: cosa implica la dipendenza da tabacco? Dunque nozioni di epidemiologia. Il secondo modulo è stato più clinico, con rimandi alla fisiopatologia del tabacco, ai danni provocati – dal sistema cardiovascolare ai tumori – e qual è il trattamento farmacologico che si può mettere in atto con un tabagista. Il terzo modulo è stato più di tipo psicoterapeutico, sul tema della dipendenza, sui colloqui motivazionali. Oltre alla teoria, è prevista come di consuetudine anche la pratica.

Questo Cas è stato una prima svizzera?

A livello nazionale ci sono alcuni corsi che gestisce l’Associazione svizzera per la prevenzione del tabagismo. Tuttavia, mancava una formazione strutturata come quella che abbiamo organizzato noi, per questo sì, si può considerarla a tutti gli effetti una prima svizzera. E siamo piuttosto all’avanguardia anche in Europa. C’è qualcosa di simile al nostro Cas solo nei Paesi Bassi, in Francia, nel Trentino.

Verrà riproposto?

Sì, c’è l’idea di organizzare ancora un’edizione. Realisticamente nell’anno scolastico 2024-25. La formazione ha suscitato interesse anche Oltralpe. È stata infatti anche un’ottima occasione per metterci ancor più in rete con i nostri colleghi delle altre Sup. E già quest’anno numerosi relatori venivano da altre parti della Svizzera, soprattutto romandi. Ci piacerebbe quindi promuovere il corso anche nel resto del Paese, sfruttando di più la didattica digitale.

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