Luganese

Ex Macello, Ps e Verdi di Lugano chiedono dialogo

Continuano le prese di posizione in merito allo sgombero dell’ex Macello. Tocca a Partito socialista e alla sezione locale dei Verdi

L’area sorvegliata
(Ti-Press)
30 dicembre 2021
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Si allunga la lista delle prese di posizione in merito allo sgombero dell’ex Macello. Per il Partito Socialista “serve il dialogo, non la forza”. L’invito alla Città di Lugano è rivolto “al dialogo e al riconoscimento immediato dell’autogestione luganese come una realtà consolidata che merita legittimità e uno spazio adeguato dove farla vivere così come avviene in tutte le principali Città svizzere e mondiali. Allo stesso tempo auspica un impegno diretto del Cantone nel ruolo di mediatore e garante per entrambe le parti”. Nonostante lo sgombero e l’abbattimento parziale dell’ex Macello, “l’autogestione a Lugano continua a essere in grado di mobilitare un folto numero di persone di ogni età ed estrazione sociale; questo dovrebbe mettere il Municipio della città di Lugano nella condizione di rendersi conto che questa realtà va riconosciuta con i fatti e non solo con il ricorso a parole di circostanza”.

A commento di quanto accaduto, I Verdi di Lugano si chiedono “perché lo fanno?”. I molinari “sono rientrati in quei locali vetusti che loro avevano trasformato in casa aperta e che ora sono murati e isolati dal resto del mondo. Sono rimasti al freddo, senza luce né acqua, circondati”. Lo hanno fatto perché “forse è proprio da qui che un dialogo sarebbe potuto ripartire, senza i proiettili di gomma e lo spray al peperoncino. A modo loro, forse raffazzonato e di certo poco popolare, hanno dato questa opportunità alla Città”. Lo hanno fatto “sette mesi dopo lo sgombero e la parziale demolizione nel pieno della notte del Csoa in barba a tutte le regole (le stesse che paiono scritte nella pietra, secondo le autorità), non per soldi, né per gloria, né per finire in cella con gli ematomi di qualche botta presa prima di venir ammanettati”. A mente dei Verdi, “forse sono rientrati perché dopo sette mesi di silenzio assordante da parte dell’esecutivo e scuse a dir poco imbarazzanti della magistratura per giustificare un piano pensato quasi fin nei dettagli ma andato storto, per riavviare un dialogo bisognava riportare il discorso là dove era rimasto. Un’avvisaglia di scambio c’è stata, ma la minoranza – nemmeno quella dell’esecutivo – non ha voce in capitolo”.

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