Luganese

Epatite C al Civico, Eoc 'da condannare'

Il pp Moreno Capelle ritiene l'ente colpevole per carenze organizzative. La difesa, sostenuta dall'avvocato Molo chiede il proscioglimento.

(Ti-Press)
10 luglio 2019
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Ente ospedaliero cantonale (Eoc) dev'essere condannato a una multa di 100'000 franchi. È la conclusione alla quale è giunto il procuratore pubblico Moreno Capella stamane al termine della sua requisitoria. Una requisitoria cominciata al secondo giorno di processo in corso alla Pretura penale di Bellinzona, dove l'Eoc è sul banco degli imputati accusato di lesioni colpose per carenze organizzative che avrebbero cagionato il contagio del virus dell'epatite C a tre pazienti. Un contagio avvenuto all'ospedale Civico di Lugano il 19 dicembre 2013.

Capella ha parlato di una grave lacuna organizzativa quella di una struttura che non è stata in grado di individuare l'operatore sanitario che ha compiuto, nell'ambito di un esame di Tomografia assiale computerizzata (Tac), l'errore di aver aspirato la soluzione fisiologica da un flacone sterile multiuso iniettandola nella vena di un paziente e riutilizzando la medesima siringa per aspirare altra soluzione fisiologica dalla stesso flacone contaminandone il contenuto. E il virus si è diffuso in questo modo, visto che il primo paziente aveva l'epatite C.

Secondo il procuratore, è stata una colpevole negligenza, in dispregio di tutte le norme che impongono l'utilizzo di materiale monouso. Però, l'Eoc cosa c'entra? Intanto, come ha riferito Capella, il sistema dovrebbe consentire l'individuazione dell'operatore sanitario che ha commesso l'errore, cosa che non si è riusciti a determinare. Questo, ha ribattuto l'avvocato Mario Molo, in sede di arringa, non è stato possibile anche perché l'inchiesta non è stata svolta compiutamente dal Ministero pubblico ed è sfociata in una decreto d'abbandono. Il procuratore ha citato la legge cantonale sanitaria e le norme Iso 9001: entrambe prevedono obblighi di diligenza che impongono la tracciabilità di ogni operatore che effettua un trattamento come la Tac.

Dal canto suo, l'avvocato Stefano Pizzola, patrocinatore di un accusatore privato, ha chiesto la conferma dell'atto d'accusa e un risarcimento per torto morale. Il suo assistito ha subito gravi conseguenze dopo i fatti: oltre alla rabbia, la delusione e lo scoramento, anche se è guarito grazie all'Eoc, gli è stato ridotto il lavoro di una percentuale del 60%. Pizzola ha messo in evidenza come in questo procedimento non si sia potuto risalire al nome del responsabile che ha usato la siringa quel giorno e quello che resta: il suo assistito è stato contagiato dopo essere stato in ospedale, luogo in cui ci si reca per farsi curare.

Dapprima, l'avvocato Mario Molo ha ribadito le motivazioni della ricusa del giudice, poi ha rievocato il rimprovero legato all'imprecisione dell'atto d'accusa, in violazione del principio dell'immutabilità. Molo ha insomma contestato integralmente l'impianto accusatorio: la presunta carenza non può stare alla base di una condanna, ha detto: 'Quanto successo è eccezionale ed è risultato di un errore umano, la preparazione di una via venosa è una routine: negli ospedali ticinesi se ne fanno oltre 200'000 all'anno'. Il legale ha pure cercato di evidenziare le contraddizioni nella requisitoria del procuratore che, da una parte, ha parlato di un'Eoc che non avrebbe fatto nulla dopo quanto successo, dall'altra ha citato il medico cantonale che però non ha dato alcuna direttiva all'Eoc dopo i fatti.

Il medico cantonale, ha continuato Molo non ha obbligato l'Eoc a tracciare chi fa le prese venose. Del resto, ha proseguito l'avvocato, tale obbligo tassativo di cui parla l'accusa non sta scritto da nessuna parte, né nelle norme Iso 9001, tantomeno nella legge sanitaria cantonale. Nessun ospedale svizzero traccia le generalità dell'operatore che prende la via venosa. Un obbligo che non si può nemmeno dedurre dagli articoli di legge in questione che l'avvocato ha ripercorso capoverso dopo capoverso. Da qui, Molo ha concluso che l'impossibilità di sostenere l'accusa 'perché il fatto non sussiste e non può avere rilevanza penale'.

Il direttore generale dell'Eoc Giorgio Pellanda, cui spettava l'ultima parola, ha voluto rassicurare: 'L'ente continua a garantire la qualità e la sicurezza delle cure, investe molto nella formazione continua dei suoi dipendenti ma il rischio zero non potrà mai essere assicurato'. Il direttore generale ha contestato fermamente le presunte accuse di carenza organizzativa, ai suoi occhi il procedimento non è stato capace di stabilire la norma giuridica che avrebbe infranto l'ente. D'altra parte, Pellanda si è detto preoccupato della precedente condanna, (poi annullata in Appello): 'Se fosse confermata, metterebbe a rischio la sanità nazionale obbligando a registrare troppe informazioni'. 

La sentenza sarà annunciata entro le prossime due settimane.

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