
Sei richieste di rinvio a giudizio sono state formulate dal pubblico ministero Giuseppe Rosse per associazione per delinquere finalizzata alla frode internazionale. L’inchiesta, lo scorso 16 gennaio, aveva portato a sei arresti di cui quattro in carcere e tre ai domiciliari. Fra coloro che sono finiti al Bassone c'è un 45enne imprenditore erbese, residente da anni a Lugano, contitolare con il 72enne padre, di una storica impresa erbese che con il passare degli anni è diventata leader nazionale del commercio dei rottami ferrosi.
Per l’accusa, padre e figlio avrebbero svolto un ruolo di primo piano nel vorticoso giro di fatture false, emesse da due società “cartere”, per oltre 200 milioni di euro. Società “cartiere” che, costituite da un noto commercialista comasco, presso il proprio studio professionale, sono servite ad abbattere i redditi oltre che della società di Erba, anche di una di Valmadrera, attiva nel commercio dei rottami guidata da una imprenditrice di Mariano Comense, in affari con il “re dei ruttamat” erbese. Corona poi passata al figlio. Stando al pm Giuseppe Rose l’organizzazione avrebbe causato un danno erariale per 24 milioni di euro. In occasione del blitz dello scorso mese di gennaio il giudice delle indagini preliminari aveva disposto il sequestro cautelativo di bene per 63 milioni di euro, fra cui una Ferrari ed una Rolls Royce, autovetture di super lusso, con le quali abitualmente si spostava l’imprenditore residente a Lugano. Lo stesso giorno dell’operazione delle fiamme gialle del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Como, un “finanziere a quattro zampe”, negli uffici dell’azienda erbese del 45enne imprenditore residente in riva al Ceresio, aveva fiutato la presenza di banconote, occultate in un beauty: 200 mila euro, in biglietti da 500 euro, arrivati dal Ticino. L’inchiesta era iniziata nel 2013, dopo la scoperta da parte dei finanzieri di Como, di prelievi in una banca del capoluogo lariano per milioni di euro, trasferiti in Slovacchia e da qui a Lugano.
Riserve di denaro in nero, secondo l’accusa, accumulate grazie alle false fatture.