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Adanmis e quelle pennellate di libertà

Il 52enne curdo ha iniziato a dipingere in un carcere turco e continua a farlo anche ora che è arrivato in Ticino, dove ha ricominciato a vivere

In sintesi:
  • È rimasto in carcere per oltre metà della sua vita, 30 anni
  • Assieme a una trentina di richiedenti l'asilo è ospitato all'albergo Rovere
  • Metterà in vendita i suoi quadri per aiutare le vittime del terremoto in Kurdistan
Adanmis (a destra) con Silvio, che lo ha accolto come uno di famiglia
17 aprile 2023
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Dei quadri di Adanmis, colpiscono innanzitutto i colori. Sgargianti, a tratti luccicanti. Le tonalità variano, ma spesso nascono dal rosso, dal verde e dal giallo, i colori della sua bandiera. Tra i soggetti più ricorrenti, fiori e piume, ma anche candele accese e farfalle. Immagini di leggerezza e luce, libertà e speranza. Sentimenti che emergono anche osservando i paesaggi bucolici ritratti in più momenti della giornata, dall’alba al tramonto alla notte, composti da laghetti, montagne e alberi. Quando lo guardiamo e gli chiediamo: “Kurdistan?”, Adanmis sorride e si porta il dito indice alla tempia. Certo, perché quelle immagini nascono sì dalla sua terra di origine, ma è dalla mente che le deve recuperare nel momento in cui le imprime, con pennello e pittura a olio, sulla tela. Oggi, che da quella terra è lontano, ma anche prima, quando pur essendo fisicamente in Kurdistan, a separarlo da quei paesaggi e dalla libertà c’erano delle sbarre di ferro.

«Ho iniziato a dipingere per evadere con la mente dalla prigione», ci racconta il 52enne curdo, che in quel carcere turco ci ha passato oltre metà della sua vita, 30 anni. La sua colpa? Lottare per la causa curda, come prima di lui aveva fatto suo padre, che per quello è stato ucciso. Un destino che temeva di subire anche lui e così, una volta uscito dalla prigione e constatato che la persecuzione nei suoi confronti era tutt’altro che conclusa, ha deciso a malincuore di lasciare la sua patria, il Kurdistan turco, e sua madre… «L’ho fatto anche per lei, aveva già pianto la morte di mio padre e non volevo che mi vedesse fare la stessa fine. Non è stata una decisione facile, lasciare il mio Paese e la mia famiglia è stato doloroso, ma era l’unica soluzione».

Così, Adanmis e sua moglie sono arrivati in aereo fino in Bosnia, dove sono saliti nel retro di uno dei tanti Tir della disperazione che quotidianamente viaggiano verso l’Europa carichi di migranti. “Scaricati” a Chiasso, sono finiti dapprima nel Canton Obvaldo e infine a Losone, più precisamente all’Hotel Rovere, che dallo scorso novembre accoglie 34 richiedenti l’asilo di estrazione e provenienza diversa, ma accomunati da un passato a dir poco tormentato e da un presente che li vede in attesa di sapere se, dove e come potranno davvero ricominciare a vivere.

Un’accoglienza e un rapporto speciali

«Questi migranti sono come una famiglia per me, poi con qualcuno si crea un legame più speciale e con Adanmis è stato così», ci spiega Silvio Deidda, 40enne di origini sarde gerente del Rovere che già negli anni passati, quando gestiva il ristorante Stella d’Oro di Tenero, aveva ospitato dei richiedenti l’asilo e si era battuto, con successo, per permettere loro di rendersi utili lavorando. Più che le parole però sono gli occhi a parlare per entrambi, lucidi e tremolanti. «Silvio mi ha dato tanta forza, anche per inseguire il mio sogno, non potrò mai ringraziarlo abbastanza», dice Adanmis – che aiuta Silvio in cucina, sua moglie invece si prodiga nel servizio ai tavoli e al bar – abbracciandolo.

Il sogno è continuare a dipingere. Come faceva in carcere, con i quadri che venivano poi fatti uscire dalla prigione e venduti per sostenere, con i proventi della vendita, la causa curda. Alcuni sono pure stati esposti a una mostra legata all’aiuto umanitario a Istanbul, altri sono arrivati in Europa. E ora che ci è giunto anche lui, nel Vecchio Continente, non ha nessuna intenzione di fermarsi… «Dipingere è anche un modo per esprimere la mia libertà e la possibilità stessa di farlo è testimonianza di democrazia. Avevo letto un libro sulla Svizzera, capendo che la democrazia è uno dei principi cardine del Paese e anche per questo volevo venire proprio qui. Un valore che ho ritrovato nella gente e nell’accoglienza ricevuta, da Silvio in primis. Mi sono già innamorato di questi luoghi e mi piacerebbe poter rimanere. Nei miei prossimi quadri vorrei riuscire a trasmettere questo sentimento ritraendo anche il paesaggio ticinese».

Dipinti in mostra e in vendita per le vittime del terremoto in Kurdistan

Intanto però, i quadri che Adanmis ha già realizzato verranno messi in mostra e in vendita proprio all’albergo Rovere, con il ricavato che verrà devoluto per aiutare la ricostruzione delle regioni a maggioranza curda distrutte dal terribile terremoto che a inizio febbraio ha colpito Turchia e Siria. L’appuntamento con il vernissage della mostra è per venerdì 5 maggio alle ore 17 al Rovere. «Un modo per aiutare chi dopo il tragico sisma non ha più niente», dice Adanmis, lui che arrivando in Ticino sente di aver ritrovato un futuro. Che è tutto.

Croce Rossa

Oltre la ‘semplice’ accoglienza

L’accoglienza e i servizi riservati ad Adanmis e agli altri richiedenti l’asilo ospitati a Losone e nelle altre strutture ticinesi, sono frutto di una buona collaborazione tra pubblico e privato… «Gestiamo su mandato cantonale l’accoglienza dei richiedenti asilo in Ticino – spiega Debora Banchini Fersini, vicedirettrice e capo Divisione della migrazione della Sezione Sottoceneri di Croce Rossa Svizzera –. Oltre ai centri di Croce Rossa Svizzera Sezione del Sottoceneri (Crss), si cercano di continuo nuove strutture e nell’ultimo semestre si è ricorso sempre più a pensioni, come quella di Losone. Sia nei centri che nelle pensioni viene garantita la stessa presa a carico. Quotidianamente gli operatori sociali Crss accompagnano le persone affinché raggiungano quanto prima un’autonomia nella gestione della propria vita. In parallelo, sono presenti servizio sanitario e di ascolto e supporto – gestito dalle nostre psicologhe –, così come il servizio Integrazione e Volontariato, che ha un ruolo cruciale nell’integrazione delle persone. Tutti i richiedenti asilo e i rifugiati iniziano tempestivamente un corso di italiano e sono seguiti regolarmente da un “job coach” per definire un progetto di integrazione; vengono analizzate esperienze professionali pregresse e titoli di studio affinché si possano definire insieme i passi necessari all’integrazione professionale. Offriamo atelier socio-professionali, stage in azienda, attività di utilità pubblica e percorsi di formazione come, ad esempio, il progetto Umamy, che alterna l’acquisizione di competenze pratiche nella ristorazione a corsi di italiano. Ogni persona è quindi attrice del proprio percorso di integrazione e beneficia di un accompagnamento costante.

In parallelo, le passioni delle persone vengono valorizzate. Adanmis ha dimostrato da subito una grande passione per la pittura, come lui tanti altri ospiti dipingono, altri sono attivi nel nostro periodico Hermes, altri ancora mettono a disposizione le loro competenze con il progetto Umamy, l’atelier sartoria, l’artigianato. Tutte queste attività, oltre a favorire la ripresa del ritmo e l’autostima – dopo il faticoso viaggio che li ha portati in Ticino –, gettano delle ottime basi per un’integrazione socio-professionale, tanto che regolarmente vengono attivati stage in azienda (sono molte quelle che ci sostengono) che talvolta si concludono, grazie anche alla grande motivazione e all’impegno dei nostri utenti, in contratti di lavoro».

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