Dopo 34 anni da Segretario comunale, Ugo Donati va in pensione. Fra dossier ‘caldi’, cravatte condivise e attici... un po’ abusivi, racconta com’è andata.

Breve preambolo. Negli ultimissimi scampoli degli anni 80 si presentava, in Comune a Minusio, un nuovo Segretario comunale di nome Ugo Donati. Avvocato, trentenne, era chiamato a rimpiazzare il suo "storico" predecessore, Samuele Rivola, rimasto in carica nei 24 anni precedenti. Fra gli impiegati già di stanza c’era lo sparuto gruppetto dei più giovani, gli apprendisti, forgiati dall’era Rivola e incuriositi dall’approccio che avrebbe dimostrato il suo successore. Uno di loro (detto fra noi, parecchio male in arnese vista la scarsissima affinità fra ciò che il Comune chiedeva e quanto lui era in grado di offrire) era chi sta scrivendo questo articolo. Grazie a un provvidenziale colpo d’ala del destino, le rispettive strade si sarebbero presto separate; ma non abbastanza, visti i percorsi paralleli almeno nel solco della cronaca locale, da perdersi di vista. Anzi.
Quello che, da osservatori non disinteressati, abbiamo raccolto nei 34 anni da Segretario comunale di Donati, fino al giorno del pensionamento, è poco più che un grappolo di informazioni saldate dal tempo e da rapporti frequenti e quasi esclusivamente professionali: rigore pressoché inscalfibile nella gestione dei dossier; una profonda passione per il mestiere (come dimostra anche l’impegno lungamente assunto nell’Unione segretari comunali ticinesi, dove ha puntato molto sulla post-formazione); tre sindaci "serviti" (Remo Lardi, Piero Mazzoleni e Felice Dafond); la non sempre facile gestione di una macchina amministrativa importante e in costante mutamento; qualche contenzioso localmente significativo (primo fra tutti quello, annoso, legato al cosiddetto "attico Rüedi"); la soddisfazione personale per un Comune in continua crescita (fino a diventare il 6° del Cantone per abitanti); e una spiccata predisposizione per i rapporti umani, determinata anche dalle radici periferiche, affondate a Broglio: posti in cui una stretta di mano e due sguardi che si incrociano soverchiano mille parole. Per il resto, qualche riflesso per interposta persona, come una rara disponibilità dimostrata da segretario con i presidenti del Consiglio comunale di turno: «Donati è sempre stato una vera e insostituibile bussola», ci ha laconicamente ricordato un ex primo cittadino. Dicendo con questo che la politica di milizia può sempre improvvisare una rotta, ma al timone è spesso necessario il doppio comando.
Dalla sua casa di famiglia a Mappo, Ugo Donati può osservare uno spicchio di territorio sul quale la sua Amministrazione, rispondendo alle consegne di legislativo ed esecutivo, ha fortemente inciso. A sud, oltre il confinante tracciato ferroviario – oggi chiuso da Tenero per i lavori di costruzione della fermata Tilo in zona Remorino – c’è ad esempio il Centro sportivo e ricreativo di Mappo, con il suo porto e il suo ristorante. Emblemi – come molti altri, da Casa Rea all’ampliamento della Scuola dell’infanzia, dal marchio "Città dell’Energia" alla convenzione con il Patriziato per la gestione di una riva lago fra le più invidiate della Svizzera, fino all’acquisto dell’ex Posta con la progettazione del nuovo stabile amministrativo – dello sviluppo di un Comune geloso del proprio patrimonio e oggettivamente molto poco attratto dalle aggregazioni: «Dodici anni fa ero stato direttamente coinvolto nelle valutazioni delle questioni più logistiche di un’eventuale aggregazione locarnese – ricorda –. Quella votazione aveva messo in evidenza una popolazione spaccata sul tema e purtroppo qualche strascico è rimasto sospeso negli anni».
Il punto, riflette Donati, «è che Minusio vuole e sa essere attrattivo: offre un buon moltiplicatore e un "pacchetto completo" di beni e servizi. Tiene molto alla sua indipendenza ma rimane aperto a forme di collaborazione intercomunale: cito solo pochi esempi come il progetto dell’Azienda acqua potabile con Tenero e Brione, quello sugli operatori di strada o ancora l’entrata come secondo Comune sede nel Corpo di polizia intercomunale del Piano. Laddove non ha più senso agire individualmente, si procede uniti; Minusio lo fa anche come primo finanziatore, dopo la Città, di progetti regionali».
Progetti e collaborazioni spesso e volentieri "spinti" dal motore più efficace della politica (locale e non solo): i rapporti interpersonali dentro e fuori i Municipi: «Oltre i rapporti istituzionali c’è la rete di quelli fra gli individui, che fa davvero sempre la differenza. Minusio non fa eccezione, partendo dal suo esecutivo. Posso dire che in 34 anni da segretario comunale sono stati pochi (ma ahimè indimenticabili) i periodi di perdurante tensione fra municipali. Quando c’erano, il martedì partivo da casa con un peso sullo stomaco…».
Restando in tema, invariabilmente definiti «ottimi», ancorché molto diversi fra loro, sono poi stati i rapporti di Donati con i tre sindaci succedutisi nel corso della sua permanenza a palazzo civico: «Prima dei miei 30 anni Remo Lardi mi consigliò di provare a fare quel che poi ho fatto per tutta la mia vita professionale. Ti potrebbe piacere, mi disse. Ci azzeccò. È stato un sindaco di cui ricordo l’aura di prestigio e la sorta di soggezione che mi metteva quando ero ancora molto giovane e inesperto. Poi è arrivato Piero Mazzoleni, con cui ci siamo dati del "tu" dopo tre minuti e con il quale condividevamo una giacca e una cravatta riposte in Cancelleria, a disposizione di chi di noi due avrebbe dovuto celebrare i matrimoni. Non ho mai avuto alcun problema neppure con Felice Dafond (tutt’ora in carica, ndr.), del quale ho sempre sinceramente apprezzato la capacità di mediazione con i colleghi di Municipio. Una dote non scontata, che fa di lui un ottimo sindaco. Per quanto mi riguarda, se c’è un fil-rouge che unisce tutti questi anni, è sicuramente determinato dal progressivo cambiamento della mia funzione: da esecutore di decisioni a "city manager", termine inglese del quale farei volentieri a meno, ma che rende bene l’idea».
Nel mezzo di questo cambiamento, anche qualche grattacapo, come il già citato contenzioso dell’attico più famoso del Ticino: «Siamo arrivati al Tribunale federale con sentenze importanti», rivendica Donati; anche se è pur vero che l’attico rimane al suo posto. Non lo è più, sullo stesso identico terreno lungo via San Gottardo, un altro simbolo delle pratiche che si perpetuano quando la macchina burocratica si ingrippa: la gru di cantiere di cui Donati si era fatto costruire un modellino con su appeso un piccolo panettone: era quello che simboleggiava il Natale di qualche anno fa, entro il quale l’enorme struttura metallica avrebbe finalmente dovuto venire dismessa. E così fu.
Poi c’è il Donati privato, che avremmo voluto scoprire prima anche soltanto per qualche scambio d’opinione, riponendo la penna: la passionaccia per le Alfa Romeo, declinata in una collezione di mini-macchine che riempie almeno tre bacheche; quella per la musica ("Deep Purple", CCR, P.F.M e dintorni) alimentata con un gruppo di "over 60" di cui Ugo è la chitarra; ma soprattutto un grande amore per il territorio, anche inteso come antica, quasi ancestrale culla di abitudini e comportamenti.
Un posto particolare lo occupa "la torbina", come la chiama lui, ai Monti di Rima, spicchio di paradiso che guarda Broglio dall’alto e che rappresenta un "buen ritiro" fatto di ricordi e calli sulle mani.
Piccola postilla finale. Fra gli apprendisti che quel lontano giorno osservavano Donati prendere confidenza con i nuovi spazi ce n’era un’altra, Barbara Fochetti, destinata come il suo nuovo capo a legarsi alla causa del Comune e a trascorrervi i tre decenni a seguire.
«La Barbara – dice oggi Donati con orgoglio – dal 1. gennaio è la nuova vice Segretaria comunale. È la nostra memoria storica e merita la promozione per la dedizione e le capacità che ha sempre dimostrato». Rileva un altro neo-pensionando: Luca Carmine, altra memoria storica di Minusio, altro personaggio rimarchevole (già solo per il fatto di aver capito dal primissimo istante che il lavoro in Comune e il sottoscritto appartenevano a mondi talmente diversi che non restava altro da fare se non bersi un Sinalco assieme e parlare d’altro).