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Locarnese, una Carovana della plastica di 270 chili

Chiusa l'azione, c'è stato l'incontro con la Distribuzione. Lucibello (presidente): ‘Essenziale collaborazione fra produttori, distributori e consumatori‘

La Carovana si è conclusa il 9 aprile e ha coinvolto una sessantina di nuclei familiari
14 novembre 2020
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Quattordici metri cubi. Si potrebbe pensare: “Beh, e che cosa mi rappresentano?”. In effetti, l'esercizio di quantificazione può risultare tutt'altro che evidente. Per rendersene conto, e non fare lo sforzo d'immaginazione, sarebbe bastato passare al Centro professionale commerciale (Cpc) di Locarno fra il 9 e l'11 novembre. Quattordici metri cubi sono infatti il risultato di poco più di un mese di raccolta di rifiuti plastici monouso che una sessantina di nuclei familiari della regione si sono portati a casa dalla spesa – per intenderci tutto quello che non può essere riciclato o riutilizzato –, aderendo all'iniziativa la Carovana della plastica.

Il progetto, lo ricordiamo, era stato lanciato a settembre dal Gruppo Meno Plastica, nato in Vallemaggia. «Volevamo mettere l'accento sulla quantità sovrabbondante d'imballaggi monouso venduta insieme ai prodotti e poi gettata. L'intento è trovare soluzioni per ridurla», chiarisce Rachele Zurini, fra i promotori. Noi consumatori possiamo essere il motore del cambiamento: è questo il messaggio che il Gruppo Meno Plastica ha voluto veicolare proponendo una dimostrazione collettiva iniziata a settembre e conclusasi in questi giorni. Ne avevamo riferito nell'articolo ‘Carovana della plastica: azione individuale per impatto globale’.

Il tema è sentito e discusso per il suo impatto inquinante e ambientale, dando avvio a molteplici iniziative, qui e altrove. Basti pensare, tanto per citarne una, alle richieste di bandire le plastiche monouso durante gli eventi.

Sessanta nuclei familiari, 270 chili

Lunedì, la Carovana è partita per il suo viaggio lungo una dozzina i punti di raccolta sul territorio: da Cevio a Minusio, con un'appendice luganese. All'iniziativa, lo scrivevamo in precedenza, hanno aderito una sessantina di nuclei familiari: 25 della Vallemaggia, una quarantina da Terre di Pedemonte, Locarnese e Lugano. In poco più di un mese circa, ogni nucleo ha tenuto da parte gli imballaggi in plastica usa e getta dalla spesa per un totale di 270 chili. «L'aderenza al progetto è stata larga. Siamo davvero molto soddisfatti e anche commossi dalla disponibilità delle persone, che hanno dato tempo e aiuto all'iniziativa», racconta la portavoce.

Alla radice, l'obiettivo è «non comperare imballaggi monouso superflui e creare rifiuti», ribadisce Zurini. L'azione, lo ricordiamo, voleva essere simbolica e dimostrativa, atta soprattutto a tematizzare la problematica dell'eccessiva quantità di plastica che ci accompagna nel quotidiano e che quasi inevitabilmente finisce nei rifiuti e quindi nell'ambiente, quando non è passibile smaltire. Il proposito: stimolare i grandi distributori ad assumersi la responsabilità della sua immissione sul mercato. Intenzione che sia scintilla del dibattito e, questo l'auspicio, che metta in moto la ricerca comune di possibili soluzioni.

Un documento, cinque punti di approfondimento

«La disponibilità a un momento di discussione in futuro c'è», racconta Zurini dopo l'incontro di mercoledì pomeriggio con il presidente dell'associazione dei grandi Distributori ticinesi (Disti), Enzo Lucibello. I promotori del progetto avevano infatti chiesto all'associazione di categoria un incontro quale conclusione – ma anche punto di partenza – all'avventura della Carovana. Era altresì presente Francesca Destefani, portavoce di Coop Ticino.

L'appuntamento è stato l'occasione per consegnare a Disti un documento con gli spunti che si vorrebbero approfondire. Inoltre, i promotori hanno chiesto all'associazione di poter fissare una data – quando la pandemia non determinerà più in modo così massivo la nostra quotidianità – per organizzare una tavola rotonda di discussione. «Naturalmente, l'incontro si svolgerà costruttivamente, approfondendo i temi che lanciamo. L'idea è condividere conoscenze e idee: per un dialogo propositivo e collaborativo, di vantaggio reciproco», puntualizza Zurini.

Ma torniamo alla lettera e ai suoi cinque punti di riflessione. Si chiede a Disti ai suoi affiliati di: eliminare il più possibile l'uso di materiale plastico negli imballaggi; quello che non può essere tolto venga riutilizzato e sia riciclabile; assumersi la responsabilità dello smaltimento degli imballaggi nei loro negozi (per alcuni prodotti, questo è già realtà; ndr); intervenire attivamente nella sensibilizzazione sulla questione. Infine, la lettera chiede di approfondire soluzioni e investire quindi nella ricerca di materiali d'imballaggio sostenibili.

Possibilità di collaborazione

‘È importante sensibilizzare la grande distribuzione, ma anche i consumatori’

«A memoria, è la prima volta che un gruppo di cittadini interpella e coinvolge direttamente l'associazione ticinese riguardo al tema. L’incontro è stato positivo», commenta Enzo Lucibello e aggiunge: «Abbiamo intrapreso dei passi per vedere se ci possano essere delle possibilità di collaborazione».

«Durante l'incontro, abbiamo illustrato le possibilità che ci possono essere, ma anche ciò che la grande distribuzione sta già facendo». Sensibilità al tema dunque c'è – conferma il rappresentante –, sia nel suo settore, sia in quello della produzione. «Un'importante riduzione delle plastiche c'è stata in diversi comparti; come in quello delle bottiglie Pet provenienti da materiale completamente riciclato, operazione che permette di risparmiare diverse tonnellate di CO2».

A titolo d’esempio, Francesca Destefani ha ricordato ancora che «dal 2012 Coop ha ridotto o ottimizzato un totale di 24mila tonnellate di materiale da imballaggio e – anticipa – entro la fine del 2020 ne ridurrà altre quattromila; continueremo su questa strada anche per il futuro. Ciò è stato possibile soprattutto grazie all’introduzione d’imballaggi alternativi realizzati con materie prime rinnovabili come la carta erba, le Multi-bag in cellulosa certificata Fsc, ma anche con alternative agli articoli in plastica monouso come cannucce in cartone, stoviglie in foglia di palma e posate in legno».

Lucibello sottolinea che per il settore lavorano esperti che si occupano unicamente della ricerca di nuove soluzioni per la diminuzione di materiali o operazioni inquinanti, «calcolando come ridurre il loro impatto ambientale». E aggiunge: «Non sempre ciò che appare all'occhio come la soluzione più ecologica, davvero lo è. Mi spiego, in alcuni casi, i processi di smaltimento, piuttosto che la raccolta di rifiuti non sono migliori di una soluzione che aprioristicamente può sembrare più inquinante».

Per il presidente di Disti, in definitiva, «il buon successo è dato dalla collaborazione fra consumatori, produttori e distributori. Resta comunque essenziale sensibilizzare sia la grande distribuzione, sia soprattutto i consumatori per un acquisto consapevole; è importante che facciano la loro parte», dichiara.

In ultima battuta e riguardo a quanto appena scritto, decliniamo il discorso sulle linee cosiddette ‘ecofriendly’, che rispetto ad altri prodotti sono un po' più care e quindi meno alla portata... «la risposta è molto semplice, basta aumentare la domanda», anticipa Lucibello. «La produzione ha dei costi che vengono riversati sui consumatori e sono i loro acquisti a determinare la domanda.

Quindi, in un'economia di mercato per abbassare il prezzo dei prodotti più cari, basta che vengano acquistati maggiormente». Rintuzziamo: però non c'è il rischio che queste linee vengano considerate come una mera strategia commerciale? «Non c'è dietro questo pensiero. Produrre seguendo determinate regole ambientali oppure ripulire la plastica sono operazioni costose. Quindi, torno a ribadire che non tutto ciò che reputiamo meno oneroso per l'ambiente, davvero lo è; a conti fatti», ribadisce concludendo.  

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