LOCARNO

Francesca Cavalli: 'Ho fotografato il mio Parkinson'

Un blog, un libro e ora una mostra, venerdì 7 giugno alla 'Carità'. Con le fotografie di Swan Bergman, la storia di un'operazione che cambia la vita

(© Swan Bergman)
6 giugno 2019
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“Nel 2010, a 41 anni, mi è stata diagnosticata la malattia di Parkinson, appunto malattia, perché chiamandola morbo in molti si offendono, ma io credo che cambiare il nome non te la renda più simpatica”. Quando, al centro di un libro intitolato “Tu non mi lascerai mai sola”, inizia il racconto di Francesca Cavalli, abbiamo già visto il suo corpo nell’integralità del nudo ritratto da Swan Bergman. “L’ho fatto – scrive Francesca nell’introduzione – perché mi è stata data la possibilità di parlare di Parkinson anche se in modo forse un po’ inusuale; l’ho fatto perché quando mi opererò il mio corpo non sarà più lo stesso”.

Il prima di quel corpo è contenuto in dieci immagini; il dopo, in altre dieci. E la data che divide il prima dal dopo è il 30 gennaio 2017, giorno nel quale nel corpo di Francesca è stata inserita la Deep Brain Stimulation, o Dbs. Detto in modo più elementare, un “pacemaker del cervello”, l’unione tra un apparecchio del tutto simile a quello usato per il cuore (inserito sottopelle con un’operazione in anestesia totale) e due elettrodi inseriti nel cranio (a paziente sveglio). Un device, la Dbs, che regola il flusso di dopamina di cui il malato di Parkinson necessita per controllare i propri movimenti. Sostituendo l’equivalente carico di farmaci.

‘Quasi quasi apro un blog’

Il libro contiene la trasposizione fedele del blog nel quale la ticinese ha raccontato la sua esperienza con la Dbs (www.versoladbs.blogspot.com); un blog nato per quel bisogno di condivisione che conferisce vicinanza e supporto, ma anche per questioni meramente pratiche: «Amici, conoscenti, genitori mi chiamavano ogni sera per chiedermi “come va?”, “cos’hai fatto oggi?”. Vista anche la mia situazione fisica, mi sono detta “quasi quasi apro un blog”, così tutti possono controllare da sé”, racconta Francesca alla ‘Regione’. Per allinearci alla media delle domande, le chiediamo: come stai? «Giorni sì, giorni no. Rispetto a prima dell’operazione, molto, molto meglio. Mi ha cambiato la vita. O meglio, all’interno del Parkinson, l’operazione mi ha cambiato la vita». Perché all’inizio del suo racconto Francesca è molto chiara: “Il Parkinson non è un nemico da sconfiggere”, nel senso che dalla malattia neurodegenerativa non si guarisce. Al massimo si può fare «un salto di qualità».

Quel blog ha fatto il giro del mondo, così come la sua storia, finita sui principali quotidiani italiani, sulle riviste di settore. E nelle case di mezzo mondo: «In tanti hanno scritto, dall’America, dalla Russia, volevano la mia opinione, volevano sapere dov’ero stata operata». Volevano sapere, perché non ovunque l’intervento viene suggerito, così come avviene in Svizzera: «Sin dalla diagnosi, io sapevo che un giorno, anche lontano, questo intervento sarebbe stato una tappa della mia vita. In molti Paesi, invece, il medico non ne parla nemmeno, o l’esclude a priori».

La rinascita

Le foto nascono tre anni fa, dall’incontro con Swan Bergman. «Gli dissi che avrei tanto voluto fare qualcosa che parlasse della mia malattia. Perché tutti sanno cos’è il Parkinson, ma in pochi ne conoscono gli effetti. Swan mi disse: “Iniziamo a fare delle foto”. Già esposte due volte a Milano, ora è la volta di Locarno. Chiamarla mostra può essere riduttivo, comunque le venti immagini scelte per il libro, più altre dieci, saranno venerdì 7 giugno dalle 18 all’Ospedale La Carità, dove – è presumibile – a Francesca sarà chiesto di raccontare di sé: «Sto preparando due righe, ma non è per niente facile. Locarno è casa mia, io ci sono nata in quell’ospedale».

Così come il libro (in vendita insieme alle foto, parte del ricavato andrà alla ricerca) anche la mostra è un percorso dal pre al post-Dbs. «A un occhio poco attento non è perfettamente percepibile, ma negli scatti prima dell’operazione gli effetti della malattia si possono intuire dalla posizione di un piede, da una mano messa in modo non naturale...». La seconda parte è composta di fotografie in acqua, dopo l’intervento: «L’abbiamo voluta vivere come una piccola rinascita: emergi e ti ritrovi a vivere una vita migliore».

‘Posso avere una foto?’

La positività di Francesca è contagiosa. Come quando, nel libro, descrive i momenti di un’operazione che comporta la non banale esperienza di sentirsi aprire la scatola cranica. “Non provo nessun dolore – scrive – perché ho un anestetico locale, ma la sensazione è decisamente bizzarra: come se un martello pneumatico vibrasse nella mia testa e i miei denti si stessero letteralmente staccando”; e una volta che la materia grigia è in bella vista, la paziente ha un’illuminazione: “Vedete il mio cervello?”, chiede a un membro dell’équipe medica; “posso avere una foto?”. Sorridendo, ci dice che «in realtà quella che volevo io non me l’hanno fatta. Ho solo una radiografia».

Ci scherza, Francesca, ma «non è stato facile». E tra le cose per nulla facili (a partire dalla regolazione degli elettrodi, «lunghissima, devastante»), c’è la più difficile di tutte: «La diagnosi, senz’altro. Una botta in faccia per chiunque. Ti ho detto prima che in molti non sanno cosa sia il Parkinson, e nemmeno io, ai tempi, sapevo cosa fosse. La prima cosa che chiedi ai medici è quanti anni ti restano, quando morirai, se fra un anno sarai seduta su una sedia a rotelle. E per quanto tu puoi chiedere, nemmeno i medici possono dirti cosa succederà. Ci sono Parkinson che durano 5 anni e poi sei morto e altri completamente differenti. Ma in ogni caso, serve attendere i primi due o tre anni per avere un minimo di certezza. E durante questo tempo, credimi, si vive sui carboni ardenti».

Semplicemente felice

“Un mese fa avevo cento anni, oggi ne ho meno della metà” scrive Francesca il 13 febbraio, poche settimane dopo l’intervento. “Quando si supera una malattia, si ha un momento di beatitudine perché ti senti semplicemente felice”.

Perché ci sono anche e soprattutto i momenti belli, come «il risveglio dalla seconda operazione», l’inserimento del pacemaker, che le ‘vive’ sottopelle tra la spalla e il seno: «Quando tutto è finito, mi hanno consegnato il telefonino. Il touchscreen, per un malato di Parkinson, è una delle peggiori invenzioni. L’ho preso in mano e mi sono accorta che ero in grado di usarlo». Anche la sua voce era cambiata, «completamente diversa, la lingua non s’incespicava più». E la faccia. «“Hai un viso completamente diverso” è la prima cosa che mi ha detto mio marito quando l’ho rivisto».

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Stimolazione cerebrale profonda

In lingua inglese è Deep Brain Stimulation (Dbs), in lingua italiana “Stimolazione cerebrale profonda”. È una procedura della neurochirurgia che prevede l’installazione di un neurostimolatore – posto in una tasca sottocutanea nei pressi della clavicola o nella regione addominale – al quale si delega la trasmissione di impulsi elettrici attraverso elettrodi (elettrocateteri) inseriti nelle aree del cervello deputate al controllo dei movimenti (da cui “pacemaker del cervello”).

Nel caso del Parkison – patologia neurodegenerativa che deve il suo nome a James Parkinson, medico inglese che ne descrisse i dettagli nel 1817 – la stimolazione può ridurre la gravità della fase cosiddetta “off” e delle discinesie (tremori, rigidità motoria, lentezza nei movimenti, difficoltà nella deambulazione tipici del morbo). L’intervento è indicato nel caso di pazienti le cui discinesie siano diventate insensibili al trattamento farmacologico, previo esame clinico assai selettivo che tiene conto dello stadio della malattia, della tipologia delle discinesie (da cui dipende l'esatta collocazione degli elettrocateteri) e dello stato mentale dell’individuo.

Il miglioramento, come dimostrato dalla storia di Francesca, è evidente sin dai primi giorni di stimolazione, portando a una riduzione dei farmaci che può arrivare fino all’80%. Si attesta intorno al 15% la quota di pazienti che possono totalmente rinunciare alla terapia farmacologica. La Dbs è utilizzata sin dal 1997 per curare il morbo di Parkinson e il tremore essenziale; nel 2003 è stata estesa al trattamento della distonia; nel 2008 ai disordini ossessivo-compulsivi; nel 2018 all’epilessia.

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