Locarnese

Da Locarno ai North York Renegades

Storia di Simone Pelloni, 20 anni, giardiniere e hockeysta: 'A Toronto per il mio (doppio) sogno'

15 settembre 2018
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«Bisogna crederci sempre!», dice Simone Pelloni, 20 anni, di Locarno, di professione giardiniere. Ed è un messaggio, quello lanciato da questo ragazzo ai suoi coetanei, che merita di essere raccolto e raccontato.

Settembre 2017: Simone vuole consolidare il suo inglese traballante. Tramite un’agenzia di viaggio prenota un soggiorno in Canada, dove spera di poter abbinare l’impegno scolastico con la pratica dell’hockey, sua grande passione fin da bambino. Simone è un’ala di buon pattinaggio, di carattere: «Diciamo che non sono un fenomeno con il bastone, ma so usare il corpo. Sono uno che va a prendere il disco e che sprona i compagni», dice di sé. Lo riconosceranno, in queste parole, allenatori e compagni che con lui hanno giocato ad Ascona e nei Gdt di Bellinzona, dove è cresciuto prima nei “mini”, poi nei “novizi” e infine in prima squadra.

Ebbene, giusto un anno fa Simone atterra a Toronto, ma le prospettive di un accompagnamento sul posto da parte di un “tutor” che gli permetta di giocare a hockey nella patria della disciplina vengono presto disattese. «Niente – ricorda –. Quello che doveva aiutarmi cadeva dal mirtillo. Mi ha detto, in pratica, di arrangiarmi». Cosa fa allora Simone? Si mette il borsone da hockey a tracolla e parte alla ricerca di una squadra: «Dobbiamo immaginarci il contesto di Toronto: lì tutto è hockey, la gente vive di hockey e la città brulica di arene dedicate, ognuna con diverse piste a disposizione. Ci sono tra l’altro anche ore di ghiaccio libere per tutti, dove c’è la possibilità di incontrare altri ragazzi e giocare a hockey con loro. Insomma: un altro mondo». Mondo al quale Simone bussa con coraggio: «Con il mio materiale in spalla io partivo sulla base di poche indicazioni precise. Andavo in queste arene pazzesche, in pratica suonavo il campanello e chiedevo se ci fosse una squadra disposta a prendermi con sé». Bussa e ribussa, il miracolo accade: «Sì, a inizio ottobre la Blyth Academy, ascoltata la mia storia, mi ha concesso una prova. Ci giocava fra l’altro un ragazzo svizzero-tedesco mandato lì dagli élite dello Zurigo. Ho iniziato ad allenarmi con gli “Under 18”, con cui ho poi fatto la stagione. Beh, se devo scegliere due parole per descrivere quell’esperienza, devo dire “vero hockey”: ritmo serrato, poche balle e pedalare». E in questo contesto “da sogno”, tornei ad Halifax (in aereo con la squadra), ad Ottawa, Sherbrooke, Montréal, Québec City. Per un ragazzo che si era presentato al citofono con borsa e bastone, davvero niente male.

Ma non è finita: «Volevo continuare l’esperienza – ricorda Simone – ma era anche ora di tornare a casa. Mi ritrovavo un po’ ai piedi della scala». Ma i miracoli, a volte, concedono il bis: «Un giorno il mio allenatore mi chiama e mi dice che uno “scout”, ad Ottawa, mi aveva notato ed era interessato a me. Era dei North York Renegades, sempre di Toronto. Così ci siamo accordati e fra due settimane riparto. Obiettivo: imparare quel benedetto inglese e indossare la maglia dei “Renegades”, categoria juniores». 

Non solo. Simone, da ragazzo intelligente, va oltre: «Tutta questa storia, con il mio passato hockeystico in Ticino e la stagione già fatta in Canada, mi ha insegnato che nulla è scontato. Qui ero un giocatore sicuro dei miei mezzi, là mi sono ridimensionato, soprattutto come “leader”, perché spesso, per non sbagliare, guardavo la partita in pista anziché fare veramente il mio gioco. Lo scopo è ritrovare la vecchia fiducia, inserirmi in quel contesto con tutte le energie mentali necessarie e fare davvero il salto di qualità». Ma prima, dal 12 settembre, sarà a Berna per gli Swiss Skills, campionato svizzero delle professioni riservato ai migliori apprendisti. 

«Quel che voglio dire ai ragazzi come me – conclude Simone – è mai smettere di crederci. A Toronto, in giro con le mie cose, ho dovuto spesso ripetermelo. Se ci si prova, con coraggio, le cose poi succedono».

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