CORONAVIRUS & SOCIETÀ

Gaia e la pandemia: ‘Rivoglio gli abbracci’

Vent’anni, nata con la sindrome di Down, Gaia Mereu ci racconta le difficoltà incontrate in questi due anni di Covid

(Ti-Press)
18 febbraio 2022
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«Voglio che possiamo tornare ad abbracciarci. Mi piace quando mi abbracciano: mi fa ridere, mi fa il solletico, mi fa sentire bene». In questi due anni di pandemia, sono gli abbracci la cosa che più è mancata a Gaia Mereu, vent’anni, un po’ romana un po’ momò, frangetta bionda su due occhi verdi che all’inizio tradiscono un velo d’apprensione per questa intervista, ma davvero è solo un attimo. Nata con la sindrome di Down, Gaia lavora presso il laboratorio Il Punto a Mendrisio, dove si occupa «un po’ di tutto, ad esempio ricamo, faccio i calumet e piego le schede quando ci sono le votazioni». Gaia danza, anche, o meglio soprattutto: «È la mia passione, ce l’ho da quando ero piccola e vivevo a Zurigo, ho iniziato col flamenco». Oggi fa parte della MOPS_DanceSyndrome, la pluripremiata compagnia di danza locarnese dedicata alle persone con sindrome di Down, e segue lezioni di hip-hop presso la PopMusicSchool di Paolo Meneguzzi a Mendrisio. È stata la paura di non poter danzare – ma neanche lavorare, giocare a basket, «incontrare i miei amici e il mio moroso», e ovviamente abbracciarsi – che allo scoppiare della pandemia e col primo lockdown «mi ha fatto piangere. Ho pianto tanto, tanto, tantissimo».

Per fortuna la risposta della rete sociale di Gaia – che include anche gli Scout e l’Atgabbes – è stata calorosa e rapidissima grazie allo sforzo coordinato di operatori, istruttori, genitori. In pochi giorni ha potuto ricominciare un po’ tutto, incluse le sue lezioni di danza, grazie a una webcam montata sul televisore in salotto. In generale, come ci spiega la madre Paola, «sono stati due anni brutti, ma anche due anni belli. Da una parte c’erano la paura, l’ansia dei contagi, l’isolamento, ma dall’altra c’è stata questa grande reazione della ‘rete’ di cui facciamo parte, che ha mantenuto vive quelle occasioni di incontro e di scambio così importanti per Gaia e i suoi amici, sia in remoto che poi, quando le cose miglioravano, di persona. Quello, davvero, è stato impressionante».

Anche la figlia dice di aver avuto «paura dei contagi, soprattutto per i nonni che abitano giù a Roma e voglio che stanno bene. Mi fa paura quando pubblicate sempre i dati dei contagi e fate vedere le cose brutte, signore», mi dice con un leggero tono di rimprovero, e quando la mamma parlando di Covid usa la parola «positivo» redarguisce anche lei: «Smettila, non dire quella parola, mi mette ansia».

Romeo e Giulietta

Il trauma degli abbracci negati continua a riemergere nelle parole di Gaia, che attraverso l’evocazione di quell’atto fisico richiama alla memoria anche chi non potrà più stringere, «come due miei amici che hanno preso il Covid e sono morti, e mi mancano ancora tantissimo. Li abbracciavo. Abbracciavo tutti e voglio abbracciare tutti, la mia migliore amica Betta, il mio moroso Guglielmo», col quale «all’inizio litigavamo, ma io me lo son tenuto stretto». Al punto che quando la famiglia – già colpita da Covid a marzo 2020, ma in forma lieve per i genitori e asintomatica per Gaia – si è trovata in quarantena, «lui è venuto sotto la finestra e abbiamo fatto come Romeo e Giulietta»: lei ha calato un cestino dalla finestra e lui ci ha messo dentro un bel mazzo di fiori.

A vent’anni Gaia sta conquistando spazi crescenti di autonomia, e infatti come molti giovani si lamenta dei genitori che «non mi lasciano respirare». Allo stesso tempo, però, alla famiglia è legatissima: «La mamma è bellissima, ma mi fa sempre fare i compiti. Papà (Gianluca, ndr) è bello che resta a casa più spesso» – grazie al telelavoro con la sua sede di Zurigo – e tra un lockdown e l’altro potevano «andare al cinema e giocare a basket, lui un po’ mi vizia». Senza dimenticare la sorella Micol, studentessa all’Accademia di Brera, con la quale «mi piace andare in macchina e fare gli aperitivi».

‘Mi piace stare con tutti quei nonni’

Gaia è sempre stata ligia alle regole di protezione in vigore fino all’altroieri, ma questo non vuol dire che non le siano pesate: «La mascherina mi toglie il fiato. I tamponi non mi danno fastidio, pizzicano solo un po’, ma mi viene l’ansia mentre aspetto il risultato». Così come le è pesato non poter più danzare in pubblico, se non in qualche limitata occasione come «al Monte Verità, era anche il compleanno di mia sorella ed ero un po’ triste che doveva studiare». Ballare in pubblico con la MOPS_DanceSyndrome è una cosa alla quale ormai è abituata da prima della pandemia, ad esempio «nei musei, poi molte volte siamo andati a ballare in casa anziani, mi piace stare con tutti quei nonni e le nonne e voglio che stanno bene». Proprio la danza e i suoi palcoscenici le hanno fatto conoscere il «moroso», quando in tivù ha partecipato a ‘Via col venti’. Inutile dire che anche andare in televisione «mi piace tantissimo, poi vorrei fare un film e fare la modella, anche se la mamma non vuole».

Nell’attesa di realizzare i suoi sogni – cosa che d’altronde fa giorno per giorno, con una determinazione che si vede di rado – resta vivo e pungente quel bisogno che abbiamo tutti, ma che Gaia riesce a esprimere con una particolare sincerità: «Voglio una vita normale. Voglio che vinciamo questo virus, perché non lo sopporto più». Ma soprattutto, ancora e sempre: «Voglio che tornano gli abbracci».

Il 25 febbraio del 2020 arrivava la notizia del primo contagio in Svizzera, proprio in Ticino. Questa è una serie dedicata a categorie di persone spesso lontane dai media e al loro destino dopo due anni di pandemia. Le altre puntate sono qui

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