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‘La nave andava a sbattere e loro si sono tenuti i rami buoni’

Processo fallimento Airlight di Biasca: il procuratore ha richiesto la condanna dei quattro accusati prosciolti nel 2023. La difesa: assoluzione piena

L’impianto solare realizzato in Marocco ma mai entrato in servizio
16 gennaio 2025
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Processo sul fallimento Airlight di Biasca, atto secondo. Dopo l’assoluzione nell’aprile 2023 di quattro accusati su cinque e la condanna di uno solo, stamane a Lugano si è aperto il dibattimento davanti alla Corte di appello e revisione penale. Il procuratore pubblico Daniele Galliano nella requisitoria ha ripercorso la vicenda concludendo con la richiesta di conferma delle pene formulate due anni fa per tutta una serie di reati fallimentari. Ossia tre anni di detenzione, di cui sei mesi da espiare, per Marco Zanetti. E due anni con la condizionale per Federico Micheli e Pasquale Cardarelli. Tutti e tre, in varie fasi, erano stati organi della società. Ruolo minore per Francesco Bolgiani: proposte per lui 180 aliquote sospese. La prima Corte, ricordiamo, aveva unicamente condannato il direttore dello stabilimento di Biasca, e inventore della tecnologia Airlight, Andrea Pedretti: 13 mesi sospesi condizionalmente per due anni per i reati di amministrazione infedele aggravata e diminuzione dell'attivo a danno dei creditori.

‘Colpevole anche chi ha avuto l'idea e non solo il beneficiario’

Mentre il quintetto si dichiara innocente, secondo il procuratore tra fine 2015 e metà 2016, quando è poi intervenuto il fallimento della startup per 25 milioni di franchi, «tutta la strategia era stata impostata dai vertici aziendali e societari a svantaggio della società medesima», attiva nel campo delle energie rinnovabili e di un impianto fotovoltaico di ultima generazione realizzato in Marocco ma mai certificato. A fare da base l’importante esposizione debitoria della holding di Lugano (azionista al 100%) e gli elevati costi della manufacturing di Biasca (il braccio operativo). Un quadro a suo dire «molto ben chiaro da almeno un anno a tutti gli imputati». Ma ciò nonostante proprio nel periodo più delicato della sovraesposizione, quando era manifesta una perdita di 10 milioni, «è stato riconosciuto un bonus di ben 628mila franchi, sotto forma di gratifica, al direttore Pedretti: sbagliato quindi condannare solo il beneficiario e non chi ha avuto l’idea del bonus, andando contro gli interessi della holding e della ‘figlia’». Sempre secondo il procuratore anche il condono del prestito per 100mila franchi a Pedretti «è problematico, nell’ambito delle ingenti ferie stando al direttore accumulate, ma mai veramente verificate dal Cda proprio nel momento in cui la società era in dissesto. Tutto ciò a mio avviso configura i reati di amministrazione infedele e diminuzione degli attivi ai danni dei creditori, al contrario di quanto ha sostenuto la Corte di primo grado. Perciò anche Zanetti, Micheli e Cardarelli vanno condannati e non solo il direttore».

‘Contabilità assente e brevetti dal valore non verificato’

Nel periodo più critico, caratterizzato dal prestito obbligazionario di 24 milioni, «c’è stata una grave negligenza nella non tenuta a giorno della contabilità a partire da gennaio 2016», ha ribadito Galliano: «La barca stava andando contro l’iceberg e l’impressione è che chi teneva il timone abbia fatto di tutto, senza lasciare traccia, per tenere per sé i rami buoni della pianta che stava morendo. Mi riferisco alla cessione dei brevetti, la proprietà intellettuale, fatta senza alcuna perizia che ne accertasse il reale valore. Che era quindi aleatorio. Con tanto, ancora una volta, di bonus concesso a Pedretti».

Cifra record di 29 aumenti di capitale

Quanto poi all’ipotesi di cattiva gestione, il procuratore ha sottolineato che la holding «non ha mai generato ricavi e vi sono stati la cifra record di 29 aumenti di capitale. Nonostante un flusso di capitale complessivo di 52 milioni, non vi era la garanzia di continuità aziendale sino a fine giugno 2016». Fra gli esempi citati, verso fine 2015, c’è il versamento di 2,1 milioni «che anziché garantire la continuità aziendale tamponando le spese e i creditori, è servito a rimborsare precedenti prestiti fatti dagli stessi azionisti». In quel momento, «nonostante gli appelli del revisore rimasti senza risposta, Zanetti, Micheli e Cardarelli invece di fermarsi vanno avanti. Ciò che configura, insieme alla mancanza di contabilità, il reato di cattiva gestione». Dal canto loro gli avvocati Samuele Scarpelli e Nicola Orelli, legali di due accusatori privati, si sono allineati alle richieste dell’Accusa evidenziando che gli imputati «erano persone debitamente formate e affatto sprovvedute e hanno di fatto depauperato la società».

‘Condannato colui che era lontano galassie dai soldi’

La difesa sollecita per tutti gli imputati assoluzione piena e indennizzi per le spese legali e peritali sopportate. L’avvocato Pierluigi Pasi per Andrea Pedretti ha chiesto di riformare la sentenza del 2023: «Non ha conseguito alcun profitto indebito. Lui e gli altri miravano unicamente a conseguire la certificazione in Marocco del progetto Csp, purtroppo arrivata qualche settimana dopo il fallimento intervenuto a inizio settembre 2016». La sentenza di primo grado è ritenuta «strabica perché condanna l’ultimo attore in ordine di peso. Ma ciò non vuol dire che gli altri meritino la condanna. Tutti erano intimamente convinti di poter salvare la società, uscendo dal contesto di startup, senza danneggiare i creditori». Rinviata al mittente la critica che Pedretti avrebbe agito intenzionalmente: «Era la persona più distante dall’amministrazione e dagli aspetti finanziari. Non ha mai partecipato alle riunioni del Cda, tanto meno a quella sfociata nell’accordo del 3 dicembre 2015 a suo favore e volto a portare avanti l’attività fino all’ottenimento della certificazione, a coronamento degli sforzi suoi come ingegnere e collettivi come investitori. Accordo cui lui ha semplicemente solo aderito. E nessuno, fra le persone interrogate, ha mai detto che egli avrebbe esercitato pressioni per beneficiarne. Sbaglia quindi la Corte di primo grado a sostenere sia che Pedretti occupasse una posizione di garanzia del patrimonio societario, con cui non aveva alcun rapporto, sia che avrebbe anteposto i propri interessi a detrimento di quelli societari. Lui era il ‘deus ex machina’ ma solo per le questioni tecniche; dalle altre era lontano galassie. Pensava solo ai suoi brevetti e a certificare il Csp in Marocco». L'accordo a cinque zeri «ha parzialmente compensato gli straordinari accumulati e le vacanze mai fatte, col prestito di cui aveva beneficiato nel 2013». La domanda però s’impone: poteva essere ritenuto soggettivamente cosciente delle difficoltà finanziarie? «No. Si trattava di una startup al beneficio di continue iniezioni di capitale e la situazione, ai suoi occhi, non gli permetteva di ritenere che vi fossero un rischio fallimento o difficoltà maggiori rispetto agli anni precedenti. Né aveva coscienza di poter danneggiare, col suo agire, chicchessia».

‘Debiti abbattuti e spese ridotte’

Sulla stessa lunghezza d’onda l’avvocato Stelio Pesciallo per Marco Zanetti. A suo carico la richiesta di pena più pesante. «È entrato in Airlight portando propri capitali e quelli di un gruppo d’investitori da lui rappresentati. Milioni. Il tutto sulla base di un proroga di un prestito obbligazionario e di una certificazione della società di revisione sulla concreta possibilità di continuare l’attività fino almeno al giugno 2016, grazie appunto all'iniezione di nuova liquidità». A dicembre 2015 Zanetti diventa quindi presidente del Cda: «La convenzione con bonus firmata in quel momento ha un fine preciso: garantire che Pedretti, desideroso di affrontare altre sfide professionali, rimanga in Airlight per completare il progetto. Nella prima metà 2016 non è vero che il sovraindebitamento aumenta, anzi il contrario: si abbattono parzialmente i debiti, fra l’altro vendendo un brevetto per 2 milioni che genera entrate per 900mila franchi. E si comprimono i costi operativi di 5 milioni rinunciando a tutto il personale di Biasca e impiegando solo tre tecnici in outsourcing in Marocco». Dove la nebbia persistente rallenta la certificazione dell’impianto e nell’agosto 2016 la società di revisione si rivolge alla Pretura di Rivera notificando una manifesta eccedenza di debiti. È la fine di un sogno. Venerdì le ultime tre arringhe, mentre la sentenza sarà comunicata nelle prossime settimane.