Mentre a Varese il gruppo Gcf va a processo per presunte infiltrazioni mafiose, in Ticino non ha avuto conseguenze penali e ha pagato gli straordinari
Un processo aggiornato il 30 gennaio davanti al Tribunale di Varese. Un decreto di abbandono firmato lo scorso 5 dicembre dal procuratore pubblico ticinese Andrea Gianini. E un accordo extragiudiziale, di tipo civilistico, siglato pure di recente dalle parti in base al quale il gruppo Gcf di Roma (Generale costruzioni ferroviarie, colosso attivo in varie nazioni e con una succursale a Bellinzona) ha dovuto versare un indennizzo complessivo di circa 300mila franchi a dieci operai impiegati nel cantiere del tunnel di base del Monte Ceneri. Operai querelanti rappresentati dal sindacato Unia e da due avvocati. L’inchiesta del Ministero pubblico aperta nella primavera 2019, formalmente contro ignoti, verteva sull’ipotesi di violazione della Legge sul lavoro e delle norme di sicurezza. Indagato, in particolare, il comportamento di capicantieri, quadri e dirigenti delle ditte appaltatrici all’interno del consorzio italo-svizzero ‘Arge Mons Ceneris’. Parliamo in particolare delle italiane Gcf e Gefer – entrambe del gruppo Rossi di proprietà dei fratelli Edoardo e Alessandro Rossi – incaricate fra il 2017 e il 2020 di posare l’armamento ferroviario nell’ambito di un appalto da 100 milioni di franchi ottenuto superando i concorrenti grazie a un’offerta di un terzo più bassa.
Alle prime denunce presentate dagli operai (autunno 2018) aveva fatto seguito, cinque mesi dopo, un servizio della trasmissione Falò alla Rsi. Dopo il quale la Procura aveva formalmente avviato gli approfondimenti sfociati, dopo oltre cinque anni, nella recente decisione. Dal canto suo il gruppo Gcf ha sempre respinto ogni addebito penale assicurando di aver agito nella legalità, finendo ora per riconoscere un indennizzo ma unicamente per gli straordinari. Da notare che la doppia decisione ticinese (decreto di abbandono e accordo civilistico) sottostà a un vincolo di riservatezza sottoscritto dalle parti. Vietato parlarne. Nessuna delle parti ha impugnato il decreto di abbandono, cresciuto nel frattempo in giudicato. Viene così mandato agli archivi un caso che in Ticino ha fatto parlare molto per le condizioni di lavoro lamentate dalle maestranze e dal sindacato su uno dei maggiori cantieri di AlpTransit.
Nelle loro denunce, ricordiamo, gli operai avevano parlato di doppi turni di lavoro dalle 13 alle 20 ore consecutive con solamente una pausa di 10 minuti per poter mangiare un panino in galleria in condizioni inadatte per consumare un pasto; fino a 20 giorni lavorativi consecutivi senza un giorno di riposo; caporalato con salari taglieggiati nei quali figurano 8 ore al giorno di lavoro anziché quelle fatte realmente (i doppi turni in alcuni periodi erano la norma e gli operai erano tenuti a non registrare col badge le ore effettive svolte); obbligo di restituire parti di salario giustificato facendo leva sugli accordi fiscali fra Italia e Svizzera; trasporto di squadre di operai dalla centrale di Camorino alle postazioni di lavoro nel tunnel su convogli il cui conduttore era sprovvisto di formazione (idem per l’uso di altri macchinari da cantiere); lo stesso conduttore costretto a lavorare 24 ore filate prima di poter staccare per riposarsi; 80-90 operai complessivamente impiegati anziché i 130 annunciati nella procedura di richiesta di permessi; lavori effettuati in assenza di talune misure di sicurezza e protezione (vi sono stati alcuni incidenti risoltisi con ferimenti); il tutto in barba al Contratto collettivo di obbligatorietà generale che impone un tetto massimo di 48 ore settimanali.
Alla fine degli approfondimenti penali, tutto ciò è parso agli occhi del procuratore Gianini insufficiente per portare a processo chicchessia. Laconico il commento di Igor Cima, il sindacalista Unia occupatosi della vicenda e che ora si attiene al vincolo di segretezza. Interpellato dalla ‘Regione’, è autorizzato a dire che «abbiamo trovato una soluzione economica tra le parti a favore dei lavoratori, i quali sono stati tacitati in base alle cifre da noi calcolate sulle ore realmente lavorate e in quel periodo non pagate. Le pretese sono state ora integralmente riconosciute e la soluzione individuata, caldeggiata dagli operai dopo anni di attesa e poi lungamente discussa, soddisfa le maestranze. Resta il rammarico per l’esito dell’inchiesta penale, ma bisogna anche evidenziare che quello raggiunto è un accordo importante».
Dal canto suo Gcf ha sempre negato l’esistenza di prove a suo carico, di pratiche di caporalato e di un quadro critico come quello esposto da operai e sindacato nelle denunce e successive testimonianze rese agli inquirenti. Sintetica anche la dichiarazione dell'avvocato difensore Emanuele Stauffer: «Sottolineo che l’aspetto delle pretese civilistiche non era di competenza del procuratore ed è stato risolto dalle parti. Pretese che erano completamente indipendenti dal côté penale. Il fatto di aver raggiunto un accordo sul piano civilistico, non avrebbe mai consentito l’abbandono dell’inchiesta se ci fossero stati dei reati. E nel decreto il procuratore scrive chiaramente che non è stata trovata traccia di nessun reato. Nessuna delle ipotesi prospettate dagli operai è stata provata. In base al principio ‘in dubio pro duriore’, in fase d'inchiesta c’è l’obbligo di andare a processo in caso di un'ipotesi di reato. Perciò quando un procuratore firma l’abbandono, vi è la certezza dell’inesistenza dei reati». Il solo punto di apertura, da parte di Gcf, è stato quello delle ore lavorate più del dovuto. Straordinari che non rappresentano, secondo la tesi difensiva, un’eccezione in cantieri complessi come quelli dei trafori ferroviari. Quanto poi alle segnalate irregolarità in busta paga, dove figuravano detrazioni sospette, sarebbero da ricondurre alla necessità di rispettare i parametri elvetici e italiani, differenti fra loro, in materia di lavoratori distaccati; sistema di remunerazione – sempre secondo la difesa – pattuito in occasione di vari incontri fra Gcf, Commissione paritetica e sindacati ticinese e italiano.
Altre tre analoghe vertenze, ricordiamo, hanno visto coinvolta Gcf nella realizzazione di opere ferroviarie in Danimarca, dove a mobilitarsi è stato il sindacato danese 3F su tre cantieri. A Copenaghen dal 2015 al 2018 Gcf ha partecipato alla realizzazione della nuova linea metropolitana. Un milione e 800mila franchi l’importo versato al sindacato per gli abusi denunciati. L’agreement è stato sottoscritto nel settembre 2017 da Edoardo Rossi, uno dei due fratelli romani a capo di Gcf, compresa la succursale di Bellinzona. Ad Aahrus, seconda città danese per popolazione, Gcf ha contribuito alla realizzazione della metropolitana leggera. Anche qui sono stati denunciati gravi abusi sugli orari di lavoro che a Gcf sono costati 400mila franchi; 3F voleva andare a processo, ma secondo il sindacato i testimoni non si sarebbero presentati. Sempre 3F ha rifiutato d’incassarne altri 470mila proposti da Gcf a condizione (rispedita al mittente) che firmasse una clausola di segretezza. Un accordo simile è stato invece siglato tra le parti in una terza vertenza che ha riguardato il rinnovamento ferroviario tra Hundige e Køge che garantisce il collegamento con la capitale e la rete metropolitana. Sempre in materia di sicurezza, l’anno scorso Gcf è stata condannata dalla giustizia danese a pagare una multa penale di centomila corone (15mila franchi) per violazione della legge sul lavoro avendo utilizzato nel marzo 2017 un carrello in modo non conforme agli standard di sicurezza e a causa del quale un operaio si è ferito.
Ti-Press
La succursale bellinzonese del gruppo italiano Gcf
Prosegue intanto l’iter penale italiano che mira a far luce sulle presunte infiltrazioni mafiose nelle grandi società appaltanti della rete ferroviaria italiana. Diversi personaggi e imprenditori calabresi vicini alla ’ndrangheta sono stati rinviati a giudizio nell’ambito dell’inchiesta denominata ‘Doppio binario’. Dopo le prime 14 condanne pronunciate nel gennaio 2023, lo scorso autunno sempre con rito abbreviato altre cinque persone sono state condannate e otto prosciolte dal giudice delle udienze preliminari di Milano. Gup che nel medesimo procedimento ha rinviato a giudizio 31 persone e sette società. Tra queste 31 – scrivevano lo scorso novembre alcuni portali del Sud Italia – figurano anche i fratelli Edoardo e Alessandro Rossi ai vertici di Gcf e Geber. Fratelli e società che finiranno a processo dal 30 gennaio davanti al Tribunale di Varese con rito ordinario. Nel 2022 la procuratrice antimafia di Milano, Bruna Albertini, a conclusione della sua inchiesta scriveva che Gcf e Gefer sono “destinatarie dirette delle commesse di Rete ferroviaria italiana Rfi (ndr: il braccio operativo delle Ferrovie dello Stato nel settore manutenzione) per il Nord Italia in regime di monopolio”. Poi descrive i due fratelli come i “referenti da oltre vent’anni delle famiglie di ‘mafia’ Giardino-Nicoscia prima e, ora, anche degli Aloisio”. Famiglie affiliate alla ’ndrangheta calabrese “cui vengono assegnati sistematicamente in regime di subappalto mascherato i lavori di manutenzione della rete ferroviaria sull’intero Nord Italia”. Il tutto “in assoluta assenza di un benché minimo confronto concorrenziale (...) all’interno di una procedura di gara pubblica disciplinata da un accordo quadro secondo il metodo dell’offerta più vantaggiosa”. Sempre secondo la pm Albertini “attraverso la simulazione di contratti di lavoro autentici si realizza una somministrazione fraudolenta di manodopera” e lo “sfruttamento della stessa”. Viene poi citata la “elusione del regime previdenziale e fiscale per siffatti rapporti di lavoro”. Quindi la “violazione delle norme in materia di subappalto, tutela del lavoro e anti-mafia”.
A osservare da vicino la situazione sono infine le Ffs, visto che scade quest’anno l’appalto decennale da 20 milioni di franchi affidato a Gcf per lavori di rincalzatura e di manutenzione della rete ferroviaria svizzera. Le stesse Ffs nel 2023 avevano spiegato al nostro giornale di seguire le vertenze penali in Svizzera e Italia e di non poter intrattenere rapporti contrattuali con un’azienda associata a un’organizzazione criminale. Perciò si riservavano di prendere provvedimenti in relazione alle attività in corso, nuove e future. Al momento non è dato sapere se ci siano novità al riguardo.