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‘A sette mesi dall’autopsia non sappiamo ancora nulla’

Anziana bleniese muore sotto i ferri, inchiesta della Procura per verificare l’agire dell’ospedale di Bellinzona. Secondo i familiari tempi troppo lunghi

In sintesi:
  • L’intervento chirurgico si era reso necessario per inserire una protesi dell’anca, ma poi si è verificata un’embolia polmonare
  • La Divisione della giustizia: ‘Abbiamo dei ritardi perché la direttrice dell’istituto attualmente è la sola a disporre di un titolo Fmh’
Qualcosa è andato storto: le verifiche penali mirano a capire se l’ospedale ha una responsabilità
(Ti-Press)
10 ottobre 2024
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Non è raro che i tempi lunghi della giustizia facciano discutere anche in Ticino. A fronte di molte inchieste che avanzano celermente, altre spariscono dai radar vittime talvolta di una procedura penale garantista, voluta e votata dalla politica federale che ha così ampliato gli spazi della difesa. D’altronde la settima arte e le serie televisive ci hanno abituati ad autopsie ed esami del Dna con esiti fulminei, distorcendo la realtà dei fatti. È in questo contesto che s’inserisce la vicenda di cui ci parla Christian Gianella, medico dentista di origini bleniesi attivo da lungo tempo nella Svizzera romanda. Il caso, che potremmo intitolare ‘Una storia patologica’, è quello della sua mamma 85enne ospite di una casa anziani dell’Alto Ticino.

Embolia polmonare e fulmine a ciel sereno

«Lo scorso 12 marzo – ci racconta – è caduta. Diagnosi: frattura del femore risolvibile con un intervento chirurgico per l’inserimento di una protesi dell’anca. Giovedì 14 marzo è morta durante l’operazione all’ospedale di Bellinzona. A detta dei medici la causa del decesso è stata un’embolia polmonare: complicazione rara ma che può insorgere a seguito della posa di una protesi articolare». Evidentemente i familiari non sono pronti alla brutta notizia: «Incassiamo la botta. Considerate l’età e le condizioni di salute, ce ne facciamo una ragione. E poi, com’è facile immaginare, in queste occasioni c’è poco da meditare: bisogna organizzare il seguito. Si inizia con le telefonate per informare parenti e amici, la sera stessa contatto le onoranze funebri, così che venerdì mattina ci troviamo e pianifichiamo annuncio sui giornali, veglia funebre, coinvolgimento del prete, funerale e successivo spuntino con familiari e conoscenti, cremazione, loculo. Il tutto secondo le disposizioni lasciate da mia madre». Ma venerdì pomeriggio, prosegue il figlio Christian, fulmine a ciel sereno: «Con una telefonata il direttore dell’ospedale, in presenza del responsabile della chirurgia e del responsabile della qualità delle cure, m’informa che il Ministero pubblico ha ordinato l’esecuzione dell’autopsia per accertare le cause del decesso. In particolare per stabilire se c’è stata qualche negligenza o una responsabilità diretta del nosocomio. Perciò fermi tutti: la decisione è irrevocabile, non si può fare opposizione, la salma è a disposizione della giustizia e deve partire per Locarno», dove appunto vengono eseguite le autopsie. E ‘fermi tutti’ significa proprio questo: «Controvoglia, arrabbiato perché nessuno potrà vedere la salma per un ultimo saluto e con sospetti nascenti di possibili cause del decesso che non volevo neanche prendere in considerazione prima, mi vedo costretto ad annullare tutto e a rinviare il funerale a data da definire, perché non si sa quando sarà eseguita l’autopsia. La liberazione della salma avverrà il mercoledì della settimana seguente e si riorganizza il tutto senza visite o veglie, perché ormai il cadavere è impresentabile. Ci sarà un funerale con l’urna, contrariamente ai desideri e alle disposizioni di nostra madre».

‘Abbondantemente oltrepassati’

Nel frattempo sono trascorsi sette mesi dal decesso e i familiari sono ancora nel limbo. Non vi è un’indicazione sull’esito dell’autopsia né, logicamente, sulle conseguenti verifiche di natura penale: «E questo nonostante l’invio di una lettera e telefonate fatte al Ministero pubblico. La Procura stessa – dettaglia Christian Gianella – attende questo benedetto referto autoptico. Non so quante persone in Ticino siano nella nostra situazione, ma ritengo che i tempi canonici siano abbondantemente oltrepassati. Oltre ai ‘disguidi’ iniziali e al dispiacere di non aver potuto rispettare le disposizioni funebri, quando mi si domanda “di che cosa è poi morta tua madre” devo rispondere che non lo so e che aspetto ancora il risultato dell’autopsia. Ciò che lascia perplessi e increduli i miei interlocutori, facendo nascere il sospetto che si vuole forse nascondere qualcosa». Nella sua annotazione finale, Christian Gianella rileva che «lavorando anche come medico dentista forense, per esperienza so che la celerità in questi frangenti è d’obbligo, nel rispetto del dolore e degli oneri materiali e morali della famiglia del defunto».

‘Eventualmente si sollecita’

Interpellato dalla redazione, il Ministero pubblico tramite l’addetto stampa Giovanni Mariconda premette di non poter entrare nel merito di casi specifici. Evidenzia comunque che, come da disposizioni del Codice di procedura penale, di fronte a una morte non chiara “il pubblico ministero dispone immediatamente i necessari approfondimenti e, se vi sono i presupposti, un’autopsia da parte di un istituto di medicina legale. Come per tutti i mandati peritali, quando il referto tarda ad arrivare, vengono inviati dei solleciti così da disporre il prima possibile degli atti richiesti. In generale non vi è un dato indicativo sui tempi medi per l’allestimento delle autopsie dal momento che le stesse possono variare a seconda della complessità degli esami richiesti”.

DIVISIONE GIUSTIZIA

‘In media mezzo anno, abbiamo dei ritardi’

A rispondere è Frida Andreotti, capo Divisione della giustizia al Dipartimento delle istituzioni che in febbraio ha presentato il nuovo Istituto cantonale di medicina legale aggiuntosi agli altri otto presenti Oltralpe: diretto dalla dottoressa Rosa Maria Martinez, ha sede a Bellinzona mentre le autopsie vengono svolte negli ospedali di Locarno e Lugano. «È un istituto indipendente con standard svizzeri», aveva sottolineato in quell’occasione il consigliere di Stato Norman Gobbi. Un taglio col passato, quando il Ticino doveva rivolgersi a istituti lombardi che però hanno altri standard rispetto a quelli elvetici, i quali impongono ad esempio la presenza di due medici durante l’autopsia e non uno solo. Dal canto suo il procuratore generale Andrea Pagani aveva sottolineato che «di principio non possiamo appoggiarci a centri confederati perché i medici legali devono potersi recare con velocità sul luogo dov’è richiesta la loro presenza. Un trasporto oltre Gottardo è quindi contrario al principio di prossimità». Nessun accenno a quello di celerità. Ce lo spiega appunto Frida Andreotti: «Per l’esito delle autopsie, che comprendono un’ampia gamma di esami eseguiti anche esternamente, abbiamo calcolato una media di sei mesi. Posso comunque confermare che abbiamo dei ritardi perché la direttrice dell’istituto attualmente è la sola a disporre di un titolo Fmh. Molti oneri, anche procedurali, passano dunque giocoforza tutti da lei». Attualmente l’istituto conta la direttrice e tre medici italiani privi di titolo elvetico Fmh e perciò impossibilitati a convalidare tutta una serie di documenti. Parimenti il team svolge anche altre mansioni, come ad esempio le perizie su incarico della Segreteria di Stato per la migrazione volte a stabilire l’età di giovani richiedenti asilo privi di documenti. Tanto da fare, dunque. Le risorse sono sufficienti? «Il nostro obiettivo – sottolinea Frida Andreotti – è migliorare la tempistica e questo passa anche dalla formazione specifica dei medici sulla quale intendiamo investire, compatibilmente però con le disponibilità finanziarie». Di buon auspicio le parole del pg Pagani pronunciate a febbraio: «Il lavoro comincia ora e necessita di aggiornamenti e perfezionamenti costanti». Nel frattempo, in taluni casi, bisogna armarsi di pazienza.

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