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Abba, 25 anni di progetti in paesi in via di sviluppo

L'associazione no-profit con sede a Corzoneso è nata nel 1996 'senza grandi ambizioni'. Attualmente sta finanziando un complesso scolastico in Kenya.

Già terminata la costruzione di 15 aule in Kenya
25 maggio 2021
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Sono molti i progetti avviati e anche conclusi in diversi paesi in via di sviluppo che Abba ha promosso nei suoi 25 anni di attività. «Siamo nati nel maggio del 1996 senza grandi ambizioni, per sostenere un progetto in Cambogia», racconta a ‘laRegione’ Daniela Abruzzi-Tami, responsabile della piccola associazione no-profit con sede a Corzoneso, frazione di Acquarossa, in Valle di Blenio. «Poi abbiamo ricevuto sempre più richieste anche da altre parti del mondo. E noi, nel limite delle nostre possibilità, abbiamo sempre cercato di rispondere. Mai avrei pensato che saremmo riusciti a realizzare tutto questo con le nostre piccole forze. Anche perché siamo un’organizzazione basata su volontari». Attualmente Abba (termine aramaico che indica l'amore di un padre verso i suoi figli) sta finanziando la realizzazione di un complesso scolastico in Kenya che ospiterà circa 500 studenti. Infatti, secondo Abruzzi-Tami, «l’istruzione è la base» che permette di portare un «miglioramento tangibile, per tutta una regione e anche per l’intera nazione».

Un ringraziamento ‘a chi ci ha sostenuto’

«Abbiamo potuto dare una risposta concreta a chi ci ha chiesto aiuto, grazie alla fiducia e alla generosità di molte persone». La responsabile di Abba tiene infatti innanzitutto a ringraziare tutti coloro che hanno sostenuto Abba in questi 25 anni di attività, durante i quali sono stati raccolti oltre 9 milioni di franchi di donazioni. Per alcuni progetti hanno partecipato con un contributo anche Confederazione, Cantone e Comuni. «Grazie a questi contributi abbiamo potuto sostenere persone in difficoltà che vivono in paesi in via di sviluppo, permettendo loro di vedere il futuro con occhi diversi».

L'importanza di essere sul posto

Per seguire i progetti dell’associazione, Abruzzi si reca anche spesso sul posto: «Negli ultimi otto mesi, cinque li ho passati in Kenya». Infatti, «è molto importante essere presenti, condividendo le nostre competenze ed esperienze». Altrettanto importante è però «anche venire via, lasciando sviluppare alla popolazione locale questi progetti, che devono sentire loro». E come venite accolti solitamente? «Dipende molto dal paese, dalla cultura e dal tipo di progetto», spiega la responsabile di Abba. «In Kenya ho notato molto più spirito di iniziativa, molta più voglia di fare rispetto ad altre nazioni».

60 persone impiegate sul cantiere

Concretamente, il progetto in Kenya prevede la costruzione di un complesso scolastico per oltre 500 alunni di scuola primaria, scuola materna e asilo nido. Il comparto comprende 15 aule, servizi igienici, due dormitori, cucina e mensa, un edificio polifunzionale con biblioteca, un’infermeria, una sala musica, una sala con computer e altro ancora. «La prima tappa che prevedeva la realizzazione delle aule è nel frattempo conclusa e ora è iniziata la costruzione dei dormitori», precisa Abruzzi-Tami. I lavori dureranno almeno ancora tre anni e sono iniziati nel 2020, nel mezzo dell’emergenza pandemica. Tuttavia, c’è anche stato un risvolto positivo: «Malgrado il lockdown, il cantiere non ha dovuto chiudere e ha così dato un’opportunità di lavoro a molte persone: attualmente ci sono 60 persone impiegate sul cantiere, quando altrove il lavoro non c’è. Inoltre, sono venuti ad aiutare anche diversi studenti, in particolare delle scuole tecniche (visto che erano chiuse come tutte le altre) e questo ha permesso loro di fare esperienza sul campo».

Un container per inviare materiale

La pandemia ha però anche avuto risvolti negativi: «C’è stato un innalzamento dei costi generali». L’associazione ha quindi deciso di organizzare l’invio di materiale con un container. «Solitamente non procediamo in questo modo, perché vogliamo sostenere l’economia locale», sottolinea la responsabile di Abba. Ma questo è un periodo particolare e quindi l’associazione lancia un appello, chiedendo, a chi ne ha la possibilità, di mettere a disposizione ad esempio materiale scolastico o per ufficio, giochi istruttivi, libri in inglese, apparecchi digitali, strumenti musicali, ma anche attrezzature di falegnameria, di sartoria, di infermeria, di cucina, così come rubinetteria, sanitari, elettrodomestici, ecc. Anche lenzuola, coperte, cuscini, piumoni e vestiti sono ben accetti, visto che il complesso scolastico sorge in una zona rurale a 2’700 metri di altitudine, una zona particolarmente fredda e piovosa.

Ma come è nata l’idea di questo progetto in Kenya? «Inizialmente ci hanno segnalato che in quel luogo serviva un dormitorio», spiega Abruzzi-Tami. «Poi, una volta sul posto, abbiamo notato che non avevano nemmeno l’acqua potabile. Abbiamo quindi dapprima costruito un pozzo e poi, discutendo, ci siamo accorti che non serviva solo un dormitorio, ma anche una nuova scuola, visto che quella che abbiamo visto era a rischio chiusura, perché non era più a norma. Ci siamo quindi detti che o si faceva tutto o niente: abbiamo così deciso per il ‘tutto’».

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