Bellinzonese

Abusi sui figli, per il padre sono stati 'solo' una trentina

L'accusa imputa ai coniugi del Bellinzonese di aver commesso in correità oltre 130 atti sessuali sui loro due figli per un periodo di 10 anni

Coniugi del Bellinzonese a processo (Ti-Press)
13 novembre 2019
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Sono almeno 130 gli atti sessuali che la procuratrice pubblica Marisa Alfier imputa ai coniugi italiani residenti nel Bellinzonese a processo con l'accusa di aver abusato della coppia di figli minorenni per un periodo di circa 10 anni. Un numero che si riferisce ai reati sessuali che la coppia, viene indicato nell’atto d’accusa, avrebbe commesso in correità, dall’estate del 2002 fino al 2013. La somma ricostruita dagli inquirenti degli abusi perpetrati da moglie e marito (si parla di rapporti non completi) è stata confermata dalla donna oggi in aula. Pure l’uomo ha riconosciuto i capi d’accusa (coazione sessuale e atti sessuali con fanciulli), ma si è detto in disaccordo con la cifra totale indicata dall’accusa. Per l’uomo i casi sarebbero ‘solo’ una trentina. “Avvenivano occasionalmente, nella stagione estiva, in barca o in piscina”.

Il marito, colui che ha avuto l’idea di dare inizio al calvario dei due figli che all’epoca avevano 3 e 7 anni, si è poi opposto all’accusa più grave, che pende unicamente sul suo conto. E cioè quella di aver costretto per dieci volte la figlia a consumare un rapporto sessuale completo. Tali atti, sempre secondo l’accusa, sarebbero avvenuti dal 2013 al 2015, prima che la giovane trovasse la forza per denunciare il tutto e fare così scattare l’arresto dei genitori, in carcere dal 2016. Dopo il 2013, alla moglie non viene imputato nessun reato. “Era la mia esclusiva”, ha detto in aula l’uomo ammettendo i rapporti ‘privati’ avuti con la figlia (in passato erano avvenuti anche a tre o a quattro) ma sostenendo che mai è arrivato a costringerla a consumare un rapporto completo. “Era un traguardo da non raggiungere”. 

I due coniugi sono accusati in correità anche di pornografia dura. Per aver effettuato riprese degli atti avuti con i figli. “Filmavo per piacere personale”, ha detto l’uomo. 

La madre: “Non si opponevano perché eravamo un punto di riferimento”

Di fronte alla domande del giudice Amos Pagnamenta, la donna è più volte scoppiata a piangere, mettendo in mostra il suo pentimento. “Ma perché non si è mai opposta?”, ha domandato il giudice. “Amavo così tanto mio marito che avrei fatto qualsiasi cosa per lui - ha risposto la donna -. Sapevo che stavamo sbagliando, ma non ho mai avuto la forza d’animo di oppormi. È stato egoismo. Ho messo mio marito prima dell’educazione dei nostri bambini”. La donna ha riconosciuto che i figli erano usati come oggetti per raggiungere l’appagamento sessuale. “A loro non veniva imposto nulla. Si rivolgevano a noi come genitori, come punto di riferimento, e non mettevano in discussione quelli che gli si chiedeva”.

La coppia ha dichiarato di avere ancora dei contatti con il figlio, ma non con la ragazza, ora affidata ai servizi sociali ed esclusa da tutta la cerchia familiare. “Quando uscirò di prigione vorrei avere la possibilità di chiedere scusa anche a lei”, ha detto il padre. 

La testimonianza della giovane (che agli inquirenti ha raccontato gli atti sessuali completi subiti), l’uomo l’ha giustificata col fatto che “era arrabbiata con me e ha mentito”. Quanto alla decisone di mandare la giovane in un foyer nel 2012, la madre ha affermato che è stata spinta dalla gelosia nata dal rapporto intimo nato unicamente tra la figlia e il marito. 

Dopo l’arresto la coppia aveva chiesto il divorzio. L’udienza è in programma a fine novembre.  

Nel pomeriggio la parola passerà all’accusa.

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