Bellinzonese

Bomio in libertà, le ferite ancora aperte delle vittime

La libertà condizionale concessa all’ex allenatore della Società nuoto Bellinzona fa riflettere su come si possano sentire le vittime

Ti-press
20 maggio 2019
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L’ex allenatore della Società nuoto Bellinzona Flavio Bomio, condannato a 11 anni per abusi sessuali nei confronti di una quindicina di vittime minorenni è tornato in libertà. Una notizia che negli scorsi giorni ha suscitato scalpore, anche perché la libertà condizionale gli è stata concessa (dopo aver espiato due terzi della pena) nonostante nei suoi confronti sia ancora pendente un’inchiesta per corruzione. Ma al di là dell’opinione pubblica, come l’hanno presa le vittime che ora potrebbero ritrovarsi davanti il loro abusatore andando a fare la spesa o camminando per strada? «Per loro tutto ciò che riporta a una riacutizzazione di quello che è successo fa male e questo vale in tutti i casi di traumi, non solo per gli abusi sessuali», spiega contattata dalla ‘Regione’ Myriam Caranzano, direttrice dell’Aspi, Fondazione della Svizzera italiana di aiuto, sostegno e protezione dell’infanzia. «Quando una persona ha provato una sofferenza del genere basta un niente per riaprire la ferita e soffrire di nuovo. E questo può succedere anche solo sentendo nominare Bomio, indipendentemente dalla notizia sulla libertà condizionale», aggiunge Caranzano, precisando che comunque la sensibilità varia da persona a persona. Che peso potrebbe avere il fatto che durante il processo svoltosi nel 2013, l’ex presidente della Snb non abbia mai rivolto le sue scuse alle vittime? «Prima ancora di questo aspetto – risponde Caranzano – per le vittime è fondamentale che il pedofilo abbia riconosciuto di aver fatto qualcosa di sbagliato, di aver fatto loro del male. Questo in alcuni casi è ancora più importante della condanna in sé e della lunghezza della pena. Non sempre purtroppo si ottengono delle scuse». Aspetti, questi ultimi, che non vanno sottovalutati. «Per le vittime è fondamentale – aggiunge la direttrice dell’Aspi – che lo Stato e la società riconoscano attraverso la pena inflitta ciò che è successo. Significa che viene riconosciuto il fatto che abbiano subito qualcosa di particolarmente grave».

L’odio non cambia le cose, meglio la prevenzione

L’odio espresso sui social in merito alla libertà concessa a Bomio dall’Ufficio del giudice dei provvedimenti coercitivi «non cambia le cose», risponde Myriam Caranzano quando le facciamo notare i molti commenti di disprezzo. «È invece più importante il lavoro di prevenzione che permette di evitare tanti casi, anche se non tutti». In particolare, dal 2012 l’Aspi organizza dei corsi di prevenzione in collaborazione con l’Ufficio cantonale dello sport e il settore Gioventù e Sport. «Proponiamo un modulo di due unità didattiche per tutti i corsi G+S di livello 1. Facendo parte della formazione di base, significa che tutti quelli che si formano si chinano sul tema della prevenzione degli abusi». Vi è poi una giornata annuale di approfondimento che può essere validata come aggiornamento del brevetto G+S. «In collaborazione con altri enti si fa molta prevenzione in ambito sportivo, ma nonostante la sensibilizzazione a tappeto non abbiamo risolto tutto», spiega Caranzano. Fa riferimento in particolare alla violenza psicologica. «Se per quanto riguarda gli abusi sessuali tutti concordano sulla gravità e sulla necessità di prevenire, non vale lo stesso per la violenza psicologica. Vengono impiegati ancora troppi metodi che umiliano, squalificano, fanno pressione, svalorizzano i bambini, sia in ambito sportivo che altrove. Non è così che si motivano i bambini», sottolinea la direttrice dell’Aspi. «Il risultato della violenza psicologica è che i bambini o i ragazzi che la subiscono si sottomettono e questo facilita le cose a un eventuale pedofilo alla ricerca di prede». Caranzano è dunque categorico: «Qualsiasi tipo di violenza non è accettabile, si possono trovare strategie diverse per portare i ragazzini a imparare, svilupparsi e migliorare le loro competenze sportive, senza mettere in campo la legge del più forte».

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