Bellinzona

'Dottoressa, questa non è una vita. Senza un lavoro che cosa ci faccio qui?'

5 luglio 2017
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«Arrivano in Ticino e non trovano quello che avevano sognato, ossia un lavoro per guadagnarsi da vivere. Sono giovani e senza un impiego non sanno che cosa fare e non si integrano. Molti si isolano, si chiudono sempre più nella loro sofferenza. Tanti mi dicono, “dottoressa questa non è una vita”». A parlare è un medico, la dottoressa Mebrat Galli, specializzata in medicina interna. Sia svizzera, sia eritrea, la dottoressa, che ha uno studio medico in Ticino, negli anni ha curato e cura anche diversi eritrei. Conosce bene le loro storie, il contesto culturale dal quale provengono, i sogni nella loro testa e le delusioni nella loro pancia, ma anche le enormi difficoltà di integrazione di gran parte di loro.

«C’è molta sofferenza psicologica e tanta fragilità tra questi giovani eritrei, dovute soprattutto al fatto che molti non hanno un impiego», commenta. A volte, per leggere un dramma aiuta inquadrare il contesto culturale, sociale e personale che può averlo favorito. Molti giovani eritrei che oggi sono in Ticino sono stati sedotti dal sogno svizzero, che li ha spinti dall’Eritrea verso l’Europa. Poi c’è la frustrazione di chi arriva e trova tutta un’altra verità. È un mix micidiale per tanti giovani eritrei, in fuga da una schiavitù militare: l’odissea fatta di campi profughi, jeep stracolme nel deserto, violenze e barconi di fortuna... Dopo un viaggio disperato arrivano in Ticino, già indebitati coi parenti, che hanno investito nel loro viaggio sui 7-8mila franchi. Tra loro, chi può invia subito denaro alla famiglia a casa, anche pochi franchi. Questo flusso di soldi verso l’Eritrea crea agi in alcune famiglie e invidia in altre. Basta un frigo nuovo, una poltrona in più. Piccoli lussi che ad Asmara alimentano il sogno elvetico ed europeo. Il tam-tam è potente. Passa di famiglia in famiglia, di villaggio in villaggio, e così la Svizzera diventa la terra promessa per chi fugge dalla dittatura. Partono dall’Eritrea, già con la Svizzera in testa: «Perché da voi si lavora e si vive bene». Ma poi la verità è ben diversa. E tanti crollano. Una fragilità comune a molti rifugiati eritrei che vivono in Ticino, come ci spiega appunto la dottoressa Galli. E il lavoro sarebbe un modo – forse l’unico – per integrarsi.

Le chiediamo infine come sono i rapporti nella coppia. «Sono moderni e paritari. Inoltre le donne dell’Eritrea, anche quelle delle classi più povere, sono istruite, sanno leggere e scrivere, perché la scuola è obbligatoria. Dalle medie si studia l’inglese», ci spiega.