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Il coro La Grigia di Chiasso compie cinquant’anni

Mezzo secolo è trascorso per questo gruppo chiassese: un’impresa non facile, specialmente dopo la pandemia

Il primo concerto del 2023
(La Grigia Chiasso)
2 febbraio 2023
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Cinquant’anni sono sempre un traguardo. E lo sono ancora di più quando a compierli è un coro locale come La Grigia di Chiasso, fondato nel 1973. In un periodo non facile per questo genere di attività, specialmente dopo l’arresto forzato dovuto alla pandemia, il mezzo secolo di esistenza è senz’altro un risultato ragguardevole. Per l’occasione abbiamo intervistato il maestro Luigi Ricco, direttore del coro da oltre 25 anni.

Com’è dirigere un coro per così tanti anni?

Ho diretto questo coro per la prima volta nel 1996, quindi possiamo dire che in questo coro ci sono ‘cresciuto’. Ai tempi ero diplomato da poco, e mi sono avvicinato al coro rispondendo a un annuncio sul giornale. Passare così tanto tempo alla guida di un coro è una bella responsabilità: ormai conosco bene i suoi aspetti, con i suoi pregi e i suoi difetti. E questa conoscenza è importante, soprattutto quando si dirige un coro composto da amatori senza una formazione musicale pregressa, perché solo tenendo conto dei loro caratteri, dei loro umori e delle loro idiosincrasie è possibile far funzionare le cose con sinergia. In un coro infatti, il risultato non è dato da una singola voce, ma esso è sempre diverso e superiore alla somma delle parti. In sostanza il coro è un organismo delicato, e bisogna saperlo gestire.

Cos’è cambiato nel corso del tempo?

Il coro era stato inizialmente fondato dai membri del circolo dei grigionesi di Chiasso, ma nel corso del tempo si sono aggiunti diversi membri provenienti dal Ticino o dalle zone vicino al confine: siamo ormai una formazione internazionale (ride, ndr). E, seppur dei membri fondatori non ci sia più nessuno, abbiamo un membro che fa parte del coro da 47 anni, entrato a farne parte tre anni dopo la formazione.

Le origini retiche hanno comunque lasciato una forte impronta nel coro, e tuttora abbiamo dei coristi grigionesi. Una delle differenze è che il nostro è un coro misto a quattro voci, mentre nella tradizione popolare grigionese sono più presenti i cori virili. Anche il repertorio è cambiato negli anni; e ho personalmente aggiunto qualche pezzo più moderno, pur mantenendo gli aspetti tradizionali del coro di montagna. Infine, negli ultimi quindici anni abbiamo sviluppato anche un repertorio natalizio che proponiamo in diverse chiese del Mendrisiotto.

Vi sentite dunque legati anche al territorio?

Certo, abbiamo uno stretto legame con Chiasso, che è il luogo di nascita del coro: qui è dove ci ritroviamo e proviamo. E anche il concerto di gala si svolge sempre qui. Oltre ai concerti poi ci siamo sempre impegnati a fare degli interventi nelle case di riposo della zona, dove il canto popolare è particolarmente apprezzato.

Cinquant’anni per un coro popolare sono tanti, specialmente considerando che avete attraversato indenni la pandemia.

È stato un periodo molto difficile. Prima c’era stata la sospensione forzata, dopodiché era stato possibile incontrarsi, ma solo con le mascherine. Insomma, la nostra attività è stata molto limitata. E a dirla tutta siamo stati un po’ sorpresi di essere riusciti a resistere a una situazione del genere, perché sono molti i gruppi che ancora fanno fatica a ripartire o che si sono addirittura sciolti.

Voi avete rischiato lo scioglimento?

Devo dire di no, anzi. Seppur a distanza, i nostri legami si sono consolidati. C’è stato chi ha dovuto lasciare, anche perché molti coristi hanno una certa età, e per motivi di salute non se la sono sentita di riprendere. Per alcuni poi è stata dura riprendere anche a livello canoro, soprattutto chi ha avuto la malattia: capita che l’estensione vocale e la respirazione non siano più quelle di prima. Forse anche la prospettiva di raggiungere il traguardo del cinquantesimo è stata uno stimolo a non mollare e ha rinvigorito la voglia di cantare. Una sorta di spirito di corpo, come si diceva una volta.

Com’è la situazione attuale del gruppo?

Attualmente siamo una ventina di membri. Capita talvolta che qualcuno debba mollare perché non riesce più a conciliare gli impegni lavorativi, o perché raggiunta una certa età decide di andare in pensione. Dato che l’età media supera i sessant’anni, questi cambiamenti sono fisiologici e per questo siamo sempre alla ricerca di nuove leve.

Un compito arduo?

Non sono tempi facili per il canto popolare. Un tempo era normale che il coro fosse un luogo di aggregazione dove recarsi dopo il lavoro, mentre oggi le nuove generazioni si uniscono solo se hanno una formazione professionale o semiprofessionale, e questi in genere prediligono la musica classica.

Come celebrerete il traguardo raggiunto?

Ci siamo trovati per discutere degli eventi per il cinquantesimo. Di certo faremo il concerto di gala a Chiasso subito dopo Pasqua: per celebrare le nostre origini abbiamo contattato un coro della Mesolcina. Vi sarà poi un altro concerto prima dell’estate, che sarà a scopo benefico e in collaborazione con Presenza Sud di Mendrisio. Poi si pensava di fare una gita, coinvolgendo anche gli ex coristi in occasione del cinquantesimo e ricordare così insieme i tempi passati. Questo oltre agli eventi più regolari, come appunto quelli nelle case di riposo.

Cosa vede nel futuro del coro?

Il futuro del coro dipende tantissimo dall’arrivo di nuove voci e dal coinvolgimento di nuovi coristi. Questi ultimi anni sono stati deleteri, perché se si passa tanto tempo a fare niente si finisce per impigrirsi. Ora che abbiamo concerti programmati, speriamo che la gente sia più motivata a unirsi a noi. Le prove sono solamente una sera a settimana, tranne quando siamo in prossimità di un concerto, dove ci si incontra più di frequente.

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