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L’oligarca che sfugge alle sanzioni (e lavora anche in Ticino)

Malgrado legami con l’industria bellica russa, il magnate dell’acciaio Lisin, con un’antenna commerciale a Lugano, non è finito sotto sanzione

(Nlmk)

Sul lungolago di Paradiso, il palazzo Mantegazza si distingue per le sue pareti vetrate dalle tinte verdastre. Come altre società che commerciano materie prime con la Russia, anche la filiale svizzera del gigante dell’acciaio Nlmk ha sede in questo lussuoso edificio. Proviamo a entrare per parlare con i rappresentanti della società. La porta è bloccata e una voce al citofono ci congeda gentilmente. Impossibile fare un’intervista. Al piano terra, un negozio vende sigari e liquori pregiati. La vodka russa Beluga è esposta in vetrina a un prezzo elevato: «La vendo alle persone che lavorano nelle aziende dell’edificio, ma queste sono le ultime bottiglie, poi non ve ne saranno più a causa dell’embargo», ci dice il titolare, che spiega di non aver mai sentito parlare dell’oligarca che possiede l’azienda.

Vladimir Lisin è forse sconosciuto alle nostre latitudini. Eppure l’azionista di maggioranza di Nlmk, leader dell’acciaio russo, è stato nominato dalla rivista Forbes uomo più ricco di tutta la Russia. Patrimonio stimato: 18 miliardi di dollari. L’uomo è conosciuto a livello internazionale anche per essere il presidente della Federazione internazionale sport del tiro, oltre che membro della commissione che gestisce i partenariati commerciali del Comitato olimpico internazionale. In patria, fa parte della ristretta cerchia di oligarchi che contano. Nel 2021 è stato presidente della potente Associazione russa dell’acciaio. Vladimir Lisin ha anche un’altra peculiarità: rispetto a molti altri "colleghi" oligarchi non è stato inserito nella lista delle sanzioni da parte degli Stati Uniti, dell’Unione europea e della Svizzera. Dei dieci uomini più ricchi della Russia, il patron di Nlmk è l’unico a essere stato risparmiato.

Trattamento di favore

A Pazzallo, in prossimità dello svincolo autostradale, un grigio stabile d’uffici ospita la Mmk Steel Trade, l’antenna commerciale delle acciaierie di Magnitogorsk, numero due russo. Saliamo al quarto piano e suoniamo: un signore dal forte accento dell’est ci dice in inglese di non lavorare per la società e che qui, «a causa delle sanzioni, non c’è ormai più nessuno». Mmk Steel Trade, insediatasi in Ticino nel 2002, sta chiudendo le attività ed è ormai amministrata da due rappresentanti della fiduciaria Fidinam. Lo scorso mese di marzo il proprietario, il miliardario Viktor Rashnikov, è stato inserito nella lista delle sanzioni. Discorso simile per la Severstal Export, controllata dall’imprenditore Alexey Mordashov. Anch’egli miliardario, anch’egli sanzionato per la vicinanza con il presidente Vladimir Putin. La società ticinese risulta ancora attiva, ma i suoi uffici di Manno sono ora occupati dalla Scuola superiore specializzata in cure infermieristiche.

Come mai, quindi, Rashnikov e Mordashov sono finiti nella lista delle sanzioni, mentre Lisin – che tra i magnati dell’acciaio è il numero uno – è stato risparmiato? Come spiegare questo trattamento di favore?

Da Lugano alla conquista dell’acciaio europeo

Per rispondere a queste domande occorre fare un passo indietro. Nel 2007, la Nlmk Trading s’insedia a Lugano e diventa il principale braccio commerciale del gigante russo. Il Ticino non è scelto a caso: qui ha sede la Duferco, principale commerciante di acciaio del mondo che ha fatto da calamita per attirare in riva al Ceresio gli oligarchi dell’acciaio russo. L’anno precedente al suo arrivo a Lugano, la Nlmk aveva stretto un partenariato strategico proprio con Duferco. Un accordo che, di fatto, ha permesso al colosso russo di mettere mano su varie acciaierie controllate dalla società ticinese negli Usa e in Europa. Così, quando nel 2011 la joint-venture tra Duferco e Nlmk termina, Lisin si ritrova proprietario di un impianto in Pennsylvania e di altri stabilimenti in Italia, Francia, Danimarca e Belgio. Ecco quindi che oggi sanzionare questo oligarca si rivela difficile: l’impatto sull’occupazione e sulle forniture di acciaio si farebbe subito sentire. La stessa Nlmk ha tenuto a specificarlo già nel 2014, a seguito delle minacce di sanzioni legate all’annessione della Crimea: «La cessazione forzata del sostegno finanziario da parte della società madre potrebbe causare l’insolvenza e la chiusura degli stabilimenti europei della Nlmk. A questo seguirebbe inevitabilmente il licenziamento di migliaia di lavoratori».

L’influente partner belga

In scala minore è successo qualcosa di simile in Ticino dove, a causa delle sanzioni, le attività di trading legate all’acciaio russo – comprese quelle di Nlmk Trading – sono state molto ridimensionate. Un conto, però, sono alcuni commercianti di materie prime di Lugano, altra cosa è il peso del comparto siderurgico europeo. «Quando le sanzioni sono in conflitto con gli interessi finanziari di alcuni Paesi, le lobby delle industrie interessate faranno di tutto per opporsi», afferma Mark Taylor, esperto di politica delle sanzioni e autore di un libro sull’argomento. «Di conseguenza – aggiunge l’esperto – i legislatori tendono a prendere di mira persone che rappresentano un rischio economico minimo per il loro Paese».

Non è un caso se Lisin è sotto sanzione solo in Australia, dove non ha interessi, ma è tuttora "libero" negli Usa e in Europa. Tanto più che nell’Ue l’oligarca ha una relazione più che intima con uno Stato membro: il Belgio. Con l’uscita di scena di Duferco lo Stato belga, tramite il fondo pubblico Sogepa, è diventato azionista al 49% di Nlmk Belgium Holding. Si tratta della società che controlla gli stabilimenti europei di Lisin. Sogepa ha già investito quasi 200 milioni di euro di fondi pubblici in questo partenariato che oggi si rivela più imbarazzante che mai. Ben si capisce, quindi, come mai il Belgio sia stato il solo Paese ad astenersi, lo scorso ottobre, dall’ottavo pacchetto di sanzioni dell’Ue che restringe ulteriormente il commercio d’acciaio.

Contratti imbarazzanti

Questa stretta relazione con uno degli Stati europei e gli interessi economici di Lisin in un settore strategico hanno per ora salvato l’oligarca. La situazione potrebbe però presto cambiare. A settembre, l’ucraina Radiosvoboda aveva denunciato in un’inchiesta la vicinanza dell’oligarca alla difesa russa. A fine novembre, alcune Ong si sono attivate a livello internazionale per aggiungere il nome di Lisin all’elenco delle sanzioni. Le promotrici di questa iniziativa hanno voluto mantenere l’anonimato per paura di rappresaglie. LaRegione ha potuto esaminare il dossier – già reso pubblico in Svizzera da Le Temps – che elenca i legami tra Nlmk e l’industria bellica russa.

Secondo i contratti portati alla luce dalle organizzazioni, dal 2014 l’acciaio della Nlmk è stato utilizzato per rifornire la fabbrica di Mari, che produce difesa antiaerea, e di Izhevsk "Kupol", che produce missili e dispositivi di difesa antiaerea. Il sito ne produce uno, il Tor-M1, che è stato schierato a Chernihiv, in Ucraina, nel marzo di quest’anno. Nel 2016 e nel 2017, la Nlmk ha poi fornito acciaio anche alla Elektromashina, che produce sistemi di tiro per la principale azienda russa di carri armati, responsabile dello sviluppo dei T90, alcuni dei quali sono stati utilizzati nella guerra in Ucraina. Un anno dopo, hanno consegnato il metallo alla Jsc Scientific and Production Corporation Space Monitoring Systems. Questa società ha sviluppato il primo missile intercontinentale R-7. Ma non è finita qui: Lisin e la sua azienda hanno anche rifornito entità che producono armi nucleari. Nel 2017 e nel 2018, ad esempio, la Nlmk ha stipulato contratti con il Centro nucleare federale russo, la cui missione è aumentare le prestazioni delle armi nucleari, e con l’Istituto di fisica applicata di Zababakhin, che produce progetti per testate nucleari. Secondo i contratti russi del 2018, il gruppo Nlmk ha rifornito una delle due fabbriche che producono componenti per i missili nucleari russi e «tecnologie avanzate per l’aviazione». Il gruppo di Lisin ha persino firmato un contratto con il successore del Centro nucleare federale russo, Jsc Pa Sever, nel 2019. Si tratta di uno dei due stabilimenti russi che producono componenti e tecnologie per l’industria aeronautica e nucleare.

Nlmk respinge le critiche

Contattati, l’oligarca e la Nlmk hanno ammesso di aver fornito acciaio a queste aziende attive nel settore della difesa, ma hanno sostenuto che «sono state consegnate solo quantità trascurabili, cioè 1,6 milioni di dollari in dieci anni, meno dello 0,002% delle vendite totali» e «solo acciaio per la produzione civile». Il colosso denuncia una «presentazione imprecisa e manipolata dei fatti», volta a «distorcere completamente la situazione reale e a danneggiare la reputazione dell’azienda».

Come gestire la situazione alla luce di questi nuovi elementi spetterà alle autorità interpellate dalle Ong. Il nono pacchetto di sanzioni deciso qualche giorno fa risparmia ancora Vladimir Lisin. Di recente, però, il russo è stato sconfitto dal suo storico rivale italiano nell’elezione per la presidenza della Federazione internazionale sport del tiro. Negli ultimi mesi, una dozzina di federazioni occidentali avevano chiesto la sua partenza. Un gesto più che altro simbolico. Ma un segnale che, per l’oligarca partito da Lugano alla conquista dell’acciaio europeo, il vento sta forse per cambiare.

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