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Virginia Raffaele in ‘Samusà’, ancora un giro sulla giostra

Tra slapstick e umanità, talenti e nostalgie dell’artista italiana al Lac martedì 5 e mercoledì 6 aprile: ‘Lugano? Più vicina a Mina, il mio mito’.

‘Se l’arte salverà il mondo? Bisogna salvare l’arte da questo mondo, altrimenti verrà distrutta completamente’
(Masiar Pasquali)
29 marzo 2022
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"Sono nata e cresciuta dentro un luna park, facevo i compiti sulla nave pirata, cenavo caricando i fucili, il primo bacio l’ho dato dietro il bruco mela. Poi il parco ha chiuso, le giostre sono scappate e adesso sono ovunque: le attrazioni sono io e siete voi".

‘Samusà’ è parola che arriva dal gergo dei giostrai e significa ‘fai silenzio’. Musicalmente, non è troppo distante da ‘s’amuser’, divertirsi. Virginia Raffaele, artista italiana tra le più amate, a oggi la comicità al femminile, così ha intitolato il suo "pop-up vivente", come lo chiama lei, spettacolo che approda nella Sala Teatro del Lac martedì 5 e mercoledì 6 aprile (in collaborazione con My Nina Spettacoli, biglietti su www.ticketcorner.ch, www.luganolac.ch).

«Purtroppo sono stata in Svizzera sempre e solo con il teatro e non ho avuto altre occasioni di conoscerla meglio», risponde l’artista alla domanda ‘del territorio’, prima di lasciarsi andare a una dichiarazione d’amore di confine: «Mi piace l’idea di essere un po’ più vicina a Mina, che è un mito per me».

‘Samusà’ è un’autobiografia: ci descrive lo spettacolo?

‘Samusà’ è uno spettacolo con il quale, attraverso tanti personaggi e tante performance, cerco di reinterpretare in vari modi il concetto di ‘giostra’, dal punto di vista più umano a quello più slapstick. Cerco d’interpretare attraverso il corpo, la voce, monologhi, canzoni e balletti quel mondo che ti si apre quando entri in un luna park, che poi è stato la mia infanzia.

Nasce da un’esigenza, dalla nostalgia, o da quale altro evento scatenante?

‘Samusà’ nasce sicuramente da un’esigenza nostalgica, quasi per esorcizzare un dolore che piano piano diventa sempre più nostalgia. Il dolore rimane e non è solo un dolore individuale, ma è anche quello di tutte le famiglie, compresa la mia, che hanno perso il lavoro quando hanno chiuso il luna Park, il Luneur di Roma. Samusà nasce anche dall’esigenza di testimoniare e di tramandare a voce quello che è stato il mondo del Luneur per chi gli ha dato vita e per chi ne fruiva.

Le andrebbe di riassumere anche per i lettori svizzeri il suo esordio all’età di tre anni su di un palcoscenico? Per la parolaccia non si preoccupi, poi metto gli asterischi...

Quando avevo tre anni hanno montato un palco al centro di una piazza del Luneur; mentre l’orchestra provava gli strumenti sono scappata al controllo di mia mamma, mi sono impadronita del microfono e urlato fortissimo una brutta parola. Ma brutta brutta.

Il suo ricordo più bello di quegli anni?

Ho tanti ricordi bellissimi. In questo istante mi viene in mente di quando me ne stavo al banco dei pesciolini rossi insieme a mia nonna. Era divertentissimo: a ogni cliente che arrivava, lei doveva fare spettacolo, comunque gli doveva strappare la risata, comunque doveva fare una battuta. E poi mi faceva l’occhiolino, solo a me, quasi a dire: "Hai visto che ci casca anche questo?". Mia nonna era un mito al Luna Park.

I suoi nonni vengono dal mondo circense: c’è qualcosa che l’odierno mondo dello spettacolo, ma anche la vita, dovrebbero, potrebbero prendere da esso?

È già tutto abbastanza un circo, direi. Mi sembra sia tutto coerente. Solo che al circo a un certo punto chiudono il sipario, qui invece siamo perenni spettatori di un circo orrendo.

‘Samusà’ non è una carrellata di personaggi da lei imitati, che comunque non mancheranno: tecnicamente, in che modo costruisce le sue imitazioni?

Studio tutti i dettagli dei personaggi, dalla voce alla prossemica, e quando non ci sono registrazioni che posso almeno tentare d’imitare, creo una voce in qualche modo coerente con il carattere del personaggio. La prossemica è molto importante e il trucco speciale è la ciliegina sulla torta.

C’è qualche personaggio che non le è riuscito e ha messo da parte?

Ho fatto qualche tentativo poi abbandonato d’imitare gli uomini, ma per come sono fatta io, diciamo un po’ maniacale, mi dovrei cambiare anche lo scheletro.

E uno al quale sta lavorando?

Se ci fosse, non lo direi.

Citando un vecchio libro: ci fa un bilancio dei suoi primi quarant’anni?

No, mi mette tristezza anche solo fare i bilanci.

Il talento le ha mai creato qualche problema? O ne ha mai creati negli altri?

Il talento è l’unica cosa che ho sulla quale sto cercando di basare la mia vita e di rendere piacevole la vita a chi mi sta vicino.

Il suo abbraccio a Corrado Guzzanti alla fine di ‘LOL’ è parso il più affettuoso degli attestati di stima: chi, nella sua formazione artistica, l’ha fatta ridere di più? E chi, nella vita di tutti i giorni, la fa ridere di più?

Nella mia formazione artistica, in tanti mi hanno fatto ridere, ma più che ridere mi hanno affascinato personaggi come Gigi Proietti, il Trio Marchesini-Lopez-Solenghi, i film di Alberto Sordi e Monica Vitti. Sono stata intrigata dalla bravura e dalle caratterizzazioni di Franca Valeri, Mariangela Melato... Tantissimi artisti mi hanno affascinato. Peter Sellers mi ha fatto ridere. Nella vita di tutti i giorni, mio padre è molto buffo. E poi mi fanno ridere gli animali e i bambini, che sono imprevedibili.

Con la guerra in Europa quasi ci siamo dimenticati il Covid: quella storia che l’arte salverà il mondo vale sempre? Lei come si sente di contribuire?

Contribuire è davvero difficile in questo momento. Mi sento inerme di fronte all’orrore. Dopo il Covid non siamo migliori. Se l’arte salverà il mondo? Bisogna salvare l’arte da questo mondo, altrimenti verrà distrutta completamente.

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