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Guerra in Ucraina: vita e morte dello Stato assolutista

La storia dell’assolutismo in Russia può tornare utile nel tentativo di comprendere le motivazioni che soggiacciono all’incursione militare di Putin

Da Pietro il grande a Valdimir il malefico
(Wikipedia/Keystone)
5 marzo 2022
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Grazie al trattato di Andrusovo, nel 1667, lo Stato zarista ottenne la parte orientale dell’Ucraina, dall’altro lato del Dnepr, inclusa Kiev. Poi, con il trattato di Nystad del 1721, dopo aver sconfitto la Svezia, le frontiere russe arrivarono al Mar Baltico: Livonia, Estonia, Ingria e Carelia diventarono parte dell’impero russo e così venne garantito l’accesso marittimo diretto a Occidente. Nel 1783 ebbe luogo invece l’annessione "definitiva" della Crimea: sul nuovo litorale zarista furono fondate le città di Sebastopoli e Odessa, una porta verso il Mediterraneo.

La storia della genesi dello Stato moderno in Russia è assai interessante e può tornare utile nel tentativo di comprendere le motivazioni che soggiacciono all’incursione di Putin in Ucraina.

Nel suo minuzioso lavoro di ricostruzione delle tappe che diedero vita e morte allo Stato assolutista in Europa, lo storico britannico Perry Anderson descrive in modo lucido le caratteristiche dell’assolutismo russo, "l’unico Stato assolutista europeo che arrivò intatto al Ventesimo secolo". La forza e la stabilità dello zarismo, secondo l’autore, erano date da un patto mai infranto tra monarchia e nobiltà: la lealtà politica dell’oligarchia veniva scambiata con il favoreggiamento economico preteso da quest’ultima.

In questi giorni è possibile osservare come la struttura del potere nella società russa non sia radicalmente cambiata rispetto al XIX secolo, anzi. Provare a capire il contesto socioeconomico in cui si fonda la leadership di Putin è importante perché ci consente di non cadere nella visione feticistica del ‘malefico Vladimir’. E non perché egli non lo sia: Putin è sicuramente il massimo responsabile dell’ignobile guerra iniziata dal suo Paese. Allo stesso tempo, però, rimane uno strumento che rappresenta e difende gli interessi di una élite che con l’Euromaidan di fine 2013 si è sentita "minacciata".

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, dunque, può anche essere vista come la reazione atroce e disperata di una classe dominante russa che ritiene a rischio la base oggettiva della sua dominazione. Un "pericolo" che viene raffigurato nell’eventuale espansione a est della Nato. Eppure anche questo è un simbolo: il timore di Mosca riguarda soprattutto l’avanzamento verso oriente del modello economico e culturale (per nulla perfetto) delle democrazie occidentali, non solo dell’alleanza militare. Un discorso che può riportare alle nostre menti il mondo bipolare della Guerra fredda, ma che in realtà ha le sue radici in un periodo storico precedente.

Oggi il paradosso sta nel fatto che il tentativo russo di "difendere" i propri interessi attraverso l’abominevole e anacronistica invasione dell’Ucraina, può finire per accelerare certe dinamiche che portino a uno scenario di contrapposizione tra l’élite politico-militare e l’oligarchia moscovita: ciò sarà determinato in particolare dalla profondità della crepa nell’economia russa che le sanzioni decise dagli Stati Uniti e dall’Unione europea (alla quale si è agganciata la Svizzera) riusciranno ad aprire.

Più che da un confronto bellico tra potenze, che nessuno può augurare, la strada verso una stabilità duratura in Europa sembra piuttosto passare da un cambiamento intrinseco alla società russa: per l’Ancien Régime di Mosca, sopravvissuto a Napoleone, a Hitler e perfino a Stalin, è giunta l’ora di scomparire.

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