Locarnese

Derive giovanili, ‘il primo deterrente è la denuncia’

Niccolò Salvioni, capodicastero Sicurezza: 'Pesa l'anomalia delle limitazioni imposte nei mesi scorsi. Sì agli operatori di strada, ma il tema è regionale’

2 ottobre 2020
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«Come Municipio dovremo uscire impostando una politica chiara, che consenta di affrontare adeguatamente questo genere di problemi, e possibilmente risolverli. Ma non da soli: a livello regionale e magari sovraregionale».

Come capodicastero Sicurezza e come municipale, Niccolò Salvioni ha le settimane contate (si è dimesso prima della scadenza d'aprile e attende che la sua decisione venga ratificata dal Consiglio di Stato). Ma non si esime dal rimanere ancorato con spirito pubblico ad una realtà territoriale da cui emergono con una certa frequenza – partendo dalle risse di Bellinzona – situazioni di disagio giovanile che possono tradursi in atti di violenza organizzata e gratuita. Locarno non ne è immune: il fatto di Piazza Castello, testimoniato da una ragazza (cfr. “laRegione” di ieri), ha stimolato l'interrogazione interpartitica promossa da Marko Antunovic, e firmata da esponenti di tutte le correnti, con la richiesta di ripristinare l'operatore di prossimità.

Niccolò Salvioni, abbiamo l'antefatto della rissa di fine agosto ripreso nell'interrogazione, e l'aperto auspicio di una parte del Consiglio comunale di ritrovare figure di riferimento formate per i giovani più in difficoltà. Come si pone in qualità di responsabile politico della sicurezza del polo regionale?

Del tutto d'accordo e direi, dal punto di vista municipale, “sul pezzo”. Proprio adesso stiamo riflettendo su come impostare una politica ragionevole in questo settore. L'interrogazione è giunta proprio durante questa fase di valutazione: una discussione è stata aperta nell'ultima seduta. L'orientamento è in ogni caso quello di favorire un coinvolgimento regionale, perché ogni valutazione singola e fine a se stessa è impossibile ma soprattutto inefficace. I poli regionali hanno senz'altro una certa responsabilità e anche una certa capacità di coordinamento nella ricerca di soluzioni, ma da soli rimangono al palo.

Non è un caso che si torni a parlare di disagio giovanile durante la perdurante emergenza pandemica.

Valutando lo scenario attuale, è chiaro che derive come quelle bellinzonesi di cui la stampa ha ampiamente riferito nelle scorse settimane, così come situazioni come quella locarnese al centro dell'interrogazione, sono il frutto dell'anomalia data dalle restrizioni Covid. A seguito delle limitazioni imposte nei mesi passati, e che parzialmente si manifestano ancora oggi, per i giovani, e in particolare per certe fasce di loro, è diventato più difficile trovare luoghi d'aggregazione “normali”. Così si cercano alternative proprie ed è purtroppo conseguente che si manifestino situazioni nuove e difficili da controllare; dico difficili perché evidentemente non può esserci un poliziotto ad ogni angolo. È comunque chiaro che emerge un nervosismo di base, un'insoddisfazione; ciò determina recrudescenze di fatti poco piacevoli che non sono certo una novità, ma che oggi riemergono con una certa frequenza.

Piazza Castello a Locarno, si è detto, ma anche il crocevia della stazione Ffs di Muralto, dove situazioni delicate anche legate allo spaccio, anche ad opera di minorenni, sono realtà tangibili che sfuggono soltanto a chi non vuol vedere.

Mi ripeto: nei momenti di incertezza sociale e di crisi economica è automatico che si riacutizzino casi problematici come ad esempio quei giovani che non lavorano, hanno difficoltà oggettive a trovare un collocamento e non sanno come riempire il tempo. Il rischio, tangibile, è questi ragazzi facciano amicizie non propriamente fruttuose dal profilo dello sviluppo personale e professionale, che li portano a “deragliare”. Preciso che si tratta di casi circoscritti: per la maggior parte le autorità, sociali o di polizia, sono a conoscenza delle situazioni e non sono colte di sorpresa.

Come può reagire la società civile, in particolare quello stesso contesto giovanile “sano” che si ritrova a subire certe devianze dei coetanei?

Denunciandole. A Locarno probabilmente certe situazioni sono rimaste più nascoste per il semplice fatto che la polizia non ne era venuta a conoscenza, nemmeno in un secondo momento tramite denunce che possano inchiodare determinai soggetti alle loro responsabilità. In questo modo è facile che situazioni di deriva sfuggano e generino una pericolosa sensazione di impunità in bulli che imperversano e possono arrivare a terrorizzare i coetanei pacifici, che sono naturalmente la maggioranza. Al di là dell'intervento puntuale della polizia, che non sempre, o non spesso, è possibile, è appunto fondamentale che partano segnalazioni e, se del caso, denunce.

Lo scenario considera oltretutto non soltanto maggiorenni.

Si parla anche di minorenni, con a monte il problema dell'assenza di luoghi di aggregazione aperti a chi non può bere alcolici. Essendo banditi dai bar, i ragazzi minori di 18 anni corrono il rischio di ritrovarsi a girare a vuoto. E qui si apre un altro problema, che va affrontato in maniera più delicata e integrata in una rete di controllo sociale. Allo stesso modo, essa va coordinata fra i Comuni, mettendo in campo figure formate come gli operatori di strada. Come tali in realtà operano già spesso gli agenti di polizia. Ma quello non è il loro ruolo.

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