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Aiuto sociale senza paura di essere espulsi

Anche il Consiglio degli Stati approva l’iniziativa parlamentare di Samira Marti. La deputata del Ps: nella legge occorre fare una distinzione più chiara.

La Svizzera resta un discreto magnete
(Keystone)

Samira Marti esce un po’ trafelata ma raggiante dalla Sala del Consiglio nazionale. Ha appena saputo che ‘dall’altra parte’ di Palazzo federale (nella Sala del Consiglio degli Stati) la sua iniziativa parlamentare ‘La povertà non è un reato’ è stata approvata. «Abbiamo vinto!», esclama la basilese alzando il pollice in segno di vittoria. «Un conto è abusare dell’aiuto sociale, un altro è percepirne le prestazioni in tutta legalità», mette subito in chiaro. «Nel primo caso – spiega a ‘laRegione’ la consigliera nazionale socialista – si tratta di penalizzare; nel secondo, di fare in modo che persone in condizioni di povertà possano richiedere l’assistenza senza dover aver paura di perdere lo statuto di residenza e il permesso di domicilio. Nella legge occorre fare una distinzione più chiara. Non è affatto una questione di mancanza di fiducia nelle autorità, nei giudici e nei tribunali che giudicano il singolo caso. Semplicemente, il Parlamento deve sancire nella legge il principio – centrale per uno Stato liberale – che se non fai nulla di sbagliato, non devi essere penalizzato. Altrimenti continueranno a venir colpite persone che già vivono ai margini della società».

La sua iniziativa parlamentare – già accolta dal Nazionale con 94 voti contro 86 – chiede che gli stranieri che vivono in Svizzera da oltre dieci anni, senza interruzione e legalmente, non possano più vedersi revocare il permesso di dimora o di domicilio per aver beneficiato dell’aiuto sociale, se il ricorso a quest’ultimo era giustificato. La misura aiuterebbe, ad esempio, le persone cadute in povertà in seguito alla perdita del lavoro, a una malattia o a un divorzio. Invece, non si applicherebbe a coloro che hanno “intenzionalmente” causato la propria indigenza o non hanno fatto nulla per cambiare la propria situazione.

Pressione della società civile

Il ‘sì’ dei ‘senatori’ è una mezza sorpresa. Che si spiega in parte con la pressione esercitata nelle ultime settimane dall’ampia alleanza ‘La povertà non è un reato’. Giovedì ha consegnato alla Cancelleria federale l’omonima petizione, con quasi 17mila firme. Le organizzazioni che la compongono hanno inviato numerose lettere ai consiglieri agli Stati. E così, contro l’avviso di una risicata maggioranza (7 a 6) della commissione preparatoria, oggi il plenum ha accolto l’iniziativa parlamentare Marti con 23 voti contro 20 e un’astensione. A far pendere l’ago della bilancia sono stati una maggioranza dei ‘senatori’ del Centro e cinque liberali-radicali, unitisi ai colleghi di Ps e Verdi. La commissione competente del Nazionale potrà ora preparare un progetto di legge.

La prevista modifica di legge non riguarda le persone che non si sforzano di integrarsi, o addirittura gli stranieri che hanno commesso reati; interessa invece l’operaio edile portoghese, che lavora qui da oltre 10 anni, che paga imposte e che per le circostanze della vita a un certo punto si ritrova a dover percepire l’aiuto sociale, ha puntualizzato Stefan Engler (Centro/Gr). Il presidente di Caritas Grigioni ritiene problematico che queste persone rinuncino a far valere il loro diritto perché temono di perdere il loro permesso di dimora o di domicilio. Una situazione che spesso pregiudica anche la possibilità di reintegrarsi nel mercato del lavoro. La legge attuale, inoltre, viene attuata dalle autorità competenti nei cantoni in 26 modi diversi. Un’intromissione così importante nella vita delle persone e delle loro famiglie giustificherebbe invece una regolamentazione valida per tutta la Svizzera, ha affermato il grigionese.

Isabelle Chassot (Centro) si è fatta portavoce degli operatori che lavorano sul terreno. Troppe persone rinunciano all’aiuto sociale perché hanno paura e questo mancato ricorso alle prestazioni ha conseguenze drammatiche sulla vita di molte famiglie, ha detto la friburghese. A essere colpiti sono in particolar modo i bambini, la stragrande maggioranza dei quali sono nati in Svizzera. Migliaia di persone «non osano nemmeno informarsi» sull’assistenza. «Per poter rimanere nel Paese «si indebitano, prendono rischi per la loro salute, si isolano». Il rischio – sono gli studi a dimostrarlo – è che questi bambini rimangano poveri una volta raggiunta l’età adulta.

Proporzionalità e Stato di diritto

La maggioranza della commissione non la pensa così. Per Thomas Hefti (Plr/Gl) «non è opportuno» modificare una disposizione di legge in vigore solo dal 2019. Tanto più che le autorità, prima di revocare un permesso, valutano se il principio di proporzionalità è stato rispettato. I tribunali e in ultima istanza il Tribunale federale garantiscono che non vi sia alcuna penalizzazione delle persone che percepiscono correttamente l’aiuto sociale. Hannes Germann (Udc/Sh) trova «giusto» che si eserciti «una certa pressione» sui beneficiari. A suo dire la prassi negli ultimi quattro anni si è evoluta nella giusta direzione, rispettando il principio di proporzionalità in ogni singolo caso. Werner Salzmann (Udc/Be) ha ricordato che la possibilità di revocare l’autorizzazione di dimora era stata una «decisione consapevole del Parlamento per combattere l’iniziativa ‘sull’attuazione’» dell’Udc, una «promessa» fatta ai cittadini. Pertanto, sotto il profilo dello Stato di diritto, «non è corretto» modificare già ora la legge.

migrazione

Due immigrati su tre vogliono restare

Neuchâtel – Quasi due terzi delle persone immigrate in Svizzera vogliono restarvi: è quanto si evince da una valutazione dell’Ufficio federale di statistica. Il desiderio è particolarmente forte tra le persone provenienti da Paesi europei che non fanno parte dell’Ue, secondo la statistica ‘Demos’ pubblicata ieri. Sul fronte emigrazione, sempre più numerosi a lasciare il Paese sono i pensionati. Tale tendenza si è intensificata dal 2017 sia tra gli svizzeri che gli stranieri in Svizzera. Nel 2017, circa 1’400 persone di età superiore ai 64 anni hanno lasciato la Svizzera, un quinto in più rispetto all’anno precedente. Cinquecento di loro erano di origine svizzera e circa 800 di origine italiana, spagnola o portoghese. La pandemia di coronavirus ha avuto da un lato l’effetto di rallentare l’emigrazione dalla Svizzera e dall’altra ha fatto sì che un numero crescente di cittadini elvetici volesse rimpatriare.

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