CLIMA

La piazza finanziaria svizzera ‘puzza’ di petrolio e carbone

È quanto emerge da un grande studio di settore: si continua a investire su settori insostenibili dal punto di vista ecologico

Proteste contro lo scarso impegno ecologico delle banche (Keystone)
9 novembre 2020
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Soldi che puzzano ancora troppo di petrolio e di carbone. Questo l’esito, poco lusinghiero, di uno studio sulla sostenibilità ecologica della piazza finanziaria svizzera: dietro a fondi e investimenti si nasconderebbero troppo spesso settori industriali inquinanti e fortemente legati ai combustibili fossili.

E dire che proprio gli attori del settore si erano sottoposti volontariamente all’analisi, realizzata dall'Ufficio federale dell'ambiente (Ufam) in collaborazione con la Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali. Al test, basato sul metodo internazionale Pacta, hanno partecipato 179 istituti finanziari, tra i quali per la prima volta anche banche e società di gestione patrimoniale. La ricerca ha permesso di evidenziare come gli investimenti nelle energie da fonti fossili siano quattro volte superiori a quelli nelle rinnovabili. L'80% dei partecipanti alla ricerca detiene addirittura nel suo portafoglio titoli di aziende che estraggono carbone.

Più in generale “la piazza finanziaria svizzera sostiene in media un’ulteriore espansione della produzione internazionale di carbone e petrolio”, afferma l’Ufam. Ciò è in aperta contraddizione con gli obiettivi climatici. Oltre a quelli ambientali, gli investimenti in energie fossili possono peraltro comportare rischi anche finanziari per gli investitori, specie se in futuro misure di politica climatica dovessero rendere tali fonti energetiche meno allettanti.

Ci sono però anche progressi: rispetto all’ultimo e più limitato rilevamento del 2017, diversi istituti finanziari hanno incluso nei loro portafogli un maggior numero di aziende nell'ambito delle energie rinnovabili e della mobilità elettrica. Inoltre, la metà degli istituti ha adottato misure a favore dell'ambiente.

Eppure più della metà degli istituti che mirano a escludere il carbone dai loro investimenti detiene ancora azioni e obbligazioni di società che lo estraggono o grazie a esso producono elettricità. Inoltre, malgrado un terzo degli istituti dichiari di tenere conto degli obiettivi in materia di clima e sostenibilità dei propri clienti, solo una minima parte - il 5% - affronta regolarmente la questione di propria iniziativa.

Anche i proprietari di portafogli immobiliari possono incidere notevolmente sulla riduzione diretta delle emissioni, ricorda poi l'Ufam. Le casse pensioni stanno attualmente pianificando la conversione del 30% degli impianti di riscaldamento dei loro edifici sostituendo i combustibili fossili con energie rinnovabili. Gli altri settori finanziari hanno però indicato che simili misure interesseranno soltanto l'1-2% delle loro proprietà.

Insomma, per l'Ufficio federale dell'ambiente una maggiore trasparenza e una misurazione regolare dei progressi restano di fondamentale importanza. Il prossimo test di compatibilità climatica è previsto nel 2022.

Greenpeace e Wwf: la politica intervenga

In una prima reazione, Greenpeace ha evidenziato come i risultati dimostrino che le banche e le assicurazioni svizzere continuano ad alimentare in modo massiccio il riscaldamento globale. Per l'associazione ambientalista è ora giunto il momento che la politica agisca per rendere i flussi finanziari rispettosi del clima.

Anche secondo Greenpeace gli istituti dovrebbero dotarsi di obiettivi climatici vincolanti e il loro raggiungimento dovrebbe essere verificato da un organismo indipendente. “È inaccettabile che banche, assicurazioni, fondi pensione e d’investimento non si assumano le loro responsabilità”, aggiunge da parte sua il WWF.

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