Svizzera

Eutanasia, dottore colpevole di omicidio

Al medico generalista di 44 anni, che lavora a Pully, il Tribunale distrettuale dell'Est vodese, a Vevey, ha inflitto una pena di due anni sospesi.

30 settembre 2019
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Due anni con la condizionale: è la pena inflitta ad un medico di famiglia vodese per aver praticato un'iniezione letale a una paziente di 86 anni che nel 2015 sembrava in fin di vita. Il Tribunale distrettuale dell'Est vodese, a Vevey, lo ha riconosciuto colpevole di omicidio. L'imputato è un medico generalista di 44 anni, che lavora a Pully dal 2007. Rischiava cinque anni di reclusione poiché il pubblico ministero riteneva il suo atto un'eutanasia attiva non esplicitamente richiesta.

La donna deceduta soffriva di patologie polmonari arteriose e cardiache. Nel 2012, aveva firmato un "testamento preventivo" che designava il medico e suo figlio come persone di fiducia. Nel documento inoltre si dichiarava contraria all'accanimento terapeutico, pur non essendo membro di Exit. Nell'aprile 2015, l'anziana si era fratturata una vertebra ed era stata ricoverata presso il Centro di trattamento e riabilitazione Sylvana di Epalinges (Vd) in una situazione di angoscia psicologica e scompenso cardiaco. Il marito, 90 anni, temeva che i medici di Sylvana avrebbero fatto il possibile per tenerla in vita invece di abbreviare le sofferenze della moglie fornendogli cure palliative.

Il 15 giugno 2015, la donna aveva ottenuto il permesso di lasciare l'ospedale per qualche ora per tornare a casa. Dopo il pasto era andata a dormire. Al risveglio parlava e respirava con difficoltà e quindi il marito aveva chiamato il medico. La morte è stata dichiarata "naturale", ma il direttore del Sylvana ha avuto sospetti e ha denunciato il caso alle autorità. In aula il marito 90enne ha detto ai giudici che non sapeva che l'iniezione praticata dal dottore fosse letale. Comunque - ha aggiunto - "non ha preso quella decisione alla leggera. Non c'era modo di fermare la sofferenza di mia moglie o di guarirla. Ho piena fiducia nel nostro medico. Agisce per fare del bene agli altri".

Dal canto suo l'imputato ha ricordato che "la paziente non voleva morire in ospedale". Ha poi spiegato che ha quasi sempre nella sua valigetta il curaro, la sostanza usata per l'iniezione letale, poiché è probabile che si trovi a dover affrontare in qualsiasi momento casi difficili di persone a fine vita. Alla lettura della sentenza il medico è sembrato sollevato. Un buon centinaio di persone, fra pazienti e parenti, è venuto a sostenerlo durante il processo. All'annuncio del verdetto il pubblico ha applaudito. Alcuni hanno persino pianto.

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