Svizzera

I movimenti islamisti non vanno vietati in Svizzera

Lo sostiene il Consiglio degli Stati, che ha tacitamente bocciato una petizione di Giorgio Ghiringhelli. Gli strumenti giuridici esistenti sono 'sufficienti'.

Foto Ti-Press
15 marzo 2018
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I movimenti islamisti non vanno vietati in Svizzera. È l’opinione del Consiglio degli Stati che ha tacitamente bocciato oggi una petizione di Giorgio Ghiringhelli. Per i "senatori", che hanno anche ricordato le norme sulla libertà d’espressione, l’arsenale giuridico a disposizione della Confederazione è sufficiente per contrastare il terrorismo e l’islamismo estremista radicale. Con la sua petizione, il losonese chiedeva di proibire la residenza e l’attività in Svizzera dei movimenti integralisti islamici, di chiudere le moschee e i centri culturali da essi gestiti e di dichiarare fuorilegge le loro associazioni. "In questi ambienti di fanatismo religioso si crea l’humus che dà origine a violenze e terrorismo", afferma Ghiringhelli nel testo della petizione facendo l’esempio della moschea di Winterthur.

Gli strumenti giuridici esistenti sono sufficienti

Per il Consiglio degli Stati, tuttavia, le misure esistenti e quelle pianificate permettono alla Svizzera di disporre di strumenti che le consentono già ora di lottare efficacemente contro l’islamismo radicale estremista. La Legge federale sugli stranieri, ad esempio, permette già di pronunciare un divieto d’entrata o un’espulsione nei confronti di quegli stranieri che costituiscono un pericolo per l’ordine pubblico. La Legge federale sulle attività informative consente da parte sua di vietare un’organizzazione o un gruppo che propaga o sostiene attività terroristiche o di estremismo violento. Non da ultimo, i "senatori" ricordano che la proposta di Ghiringhelli si scontra con alcune norme fondamentali iscritte nella Costituzione: la libertà religiosa, la libertà d’espressione, nonché la libertà di riunione e associazione. Queste non devono naturalmente sfociare in attività e propositi penalmente rilevanti, come quelli toccati dal divieto di pubblica istigazione a un crimine o alla violenza, precisano gli Stati.

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