Svizzera

Aborto di una siriana, chiesti 7 anni per una guardia di confine

(Francesca Agosta)
23 novembre 2017
|

Fino a sette anni di detenzione sono stati chiesti oggi dall'accusa nei confronti della guardia di confine svizzera ritenuta responsabile dell'aborto di una siriana durante le operazioni di rinvio in Italia nel 2014. Questo nel caso in cui la corte del tribunale militare di Berna – dove è in corso il processo – riconosca che si è trattato di omicidio. La difesa domanda invece l'assoluzione.

L'accusa ha predisposto diverse varianti, in base a quando è avvenuta la morte del feto e al momento in cui sono iniziate le doglie. La guardia di confine è accusata di aver negato il necessario soccorso medico. Nella variante ritenuta più "lieve", la condanna richiesta è di tre anni di prigione al massimo con possibile condizionale parziale.

La procura ha comunque sottolineato l'indifferenza e "la totale assenza di umanità" dimostrate dall'imputato e dai suoi colleghi. Una donna incinta, in preda alle contrazioni, deve essere subito portata in ospedale e questo è noto a qualunque persona sensata, ha affermato.

L'avvocato di famiglia ha chiesto un risarcimento pari a 820mila franchi. Questo perché una tale tragedia è un trauma per tutti, in particolare nelle condizioni in cui è avvenuta.

La difesa vuole l'assoluzione

La difesa ha invece chiesto l'assoluzione. L'imputato avrebbe infatti agito non appena si è reso conto dei problemi di salute della donna incinta. La gravità della situazione è stata capita solamente quando ci si è accorti che la donna non era in grado di camminare da sola ed è stata portata di peso sul treno su cui doveva salire.

A quel punto si è dovuto decidere se mandare la donna in treno fino a Domodossola (Italia), che dista circa mezz'ora, o se fare arrivare un'ambulanza da Visp (Vallese), con il rischio che il veicolo rimanesse imbottigliato nel traffico, visto che era un venerdì sera. È stata quindi preferita la prima opzione e i colleghi italiani sono stati avvertiti dell'arrivo della donna in difficoltà. Non è quindi vero, sempre secondo la difesa, che l'imputato non ha fatto niente. Anzi, la reazione può essere considerata adeguata.

Forse non tutto è stato perfetto, ha continuato ancora la difesa, ma non esistono elementi per una condanna. Questo anche perché la morte del feto è sopraggiunta a causa di una complicanza medica, ed è probabile che si trattasse di un evento inevitabile.

I fatti

La donna, allora 22enne e alla ventisettesima settimana di gravidanza, faceva parte di un gruppo di 36 migranti che il 4 luglio di tre anni fa era partito con un treno notturno da Milano diretto a Parigi. Al confine franco-elvetico di Vallorbe (Vaud) la giovane venne respinta assieme agli altri dalle autorità francesi e affidata a quelle svizzere per il rinvio in Italia, lo Stato dello Spazio Dublino dove i migranti avevano inoltrato la prima richiesta d'asilo. L'imputato era responsabile del team composto da una quindicina di guardie di confine che doveva accompagnare il gruppo in Italia.

Dopo l'arrivo a Domodossola la donna ebbe un collasso. Le guardie di frontiera italiane chiamarono subito i soccorsi ma la giovane diede alla luce una bambina senza vita. Nel frattempo la siriana ha ottenuto asilo politico in Italia, assieme al marito e ai tre figli.

Il processo continuerà domani, mentre la sentenza è attesa per il 7 dicembre.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔