STORIE MONDIALI

Nacka e Mané, genio e dissolutezza

Piedi educatissimi e vite da romanzo per Skoglund e Garrincha, stelle del mondiale giocato in Svezia

26 luglio 2022
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Finale iridata del 1958, tutto è pronto per il fischio d’inizio. Dove la linea mediana del campo va ad intersecare quella laterale, coi gesti più che con le parole due avversari manifestano stima reciproca e si scambiano gli auguri. Portano entrambi sulle spalle il numero 11 e sono calciatori molto simili: per stazza, per ruolo e per la maestria con cui eseguono il dribbling, pezzo forte del loro repertorio. Durante l’intera partita, ogni volta che i portieri rinviano il pallone, i due rivali si ritrovano praticamente appiccicati. Si tratta di Lennart Skoglund – ala sinistra della Svezia – e Mané Garrincha, ala destra del Brasile che a fine match festeggerà il suo primo titolo iridato, conquistato grazie a un gioco tecnicamente e tatticamente vent’anni avanti rispetto a quello degli svedesi e di chiunque altro.
Garrincha, nato con mille difetti fisici, pare sia carente pure alla voce quoziente intellettivo. Durante la preparazione al Mondiale, lo psicologo della Seleçao ha sottoposto tutti i giocatori brasiliani a prove attitudinali, fatte di disegni e brevi scritti.

Ebbene, Garrincha non ha raggiunto nemmeno lontanamente la soglia minima prevista, e così il dottore ha sconsigliato al tecnico Feola di portarselo in Svezia. Identica diagnosi è stata stilata per Pelé, un diciassettenne nero d’epidermide destinato a diventare il miglior calciatore della propria epoca e fra i più grandi di tutti i tempi. Feola per fortuna non è un somaro, e col parere del luminare ci si è pulito le terga. Se i verdeoro riusciranno infine a vincere un Mondiale, è infatti soprattutto grazie alla classe, alla freschezza e all’atletismo dei due presunti ritardati.
Garrincha – una gamba sei centimetri più corta dell’altra – ha la scoliosi, un ginocchio affetto da valgismo e l’altro da varismo. Inoltre, è strabico come una modella di Picasso. Si chiamerebbe Manoel Dos Santos, ma sua sorella – vedendolo zampettare in quel modo scoordinato – lo paragona a un garrincha, sgraziato uccellino delle foreste attorno al loro villaggio, e tutti prendono a chiamarlo così. Quando da bambino si presentò su un campetto dicendo di voler giocare a pallone, tutti si ammazzarono dalle risate. Asciugate le lacrime, per fortuna vollero ugualmente dargli una chance. Non lo avessero fatto, la storia del calcio si sarebbe persa la migliore ala destra di tutti i tempi. Skoglund, detto Nacka come il quartiere povero di Stoccolma in cui nasce e dove inizia a dribblare per le strade, ancora minorenne è eletto miglior calciatore svedese. Chiamato alle armi, passa in gattabuia quattro dei tredici mesi di naja: la disciplina non è il suo forte. A vent’anni (1950), già padre di un figlio, disputa un grande Mondiale e viene ingaggiato dall’Inter, di cui diventerà una bandiera per le otto stagioni successive, durante le quali però non giocherà neanche una partita con la sua Nazionale. La federazione svedese, infatti, per lungo tempo ha negato il diritto di vestire la maglia della Selezione ai giocatori che, accettando le lusinghe dei club stranieri, se ne sono andati a giocare nei ricchi campionati esteri. Il veto è caduto solo quest’anno, appunto il 1958: il Mondiale l’hanno organizzato proprio gli svedesi e, se vogliono vincerlo, conviene amnistiare i mercenari.

Il nuovo che avanza

Tranne il più famoso dei fratelli Nordhal, tutti i migliori hanno risposto presente: il problema è che, ormai, sono vecchi come sassi. Axbom ha 32 anni, Kalle Svensson ne ha 33, Loefgren e Mellberg 35, Liedholm 36 e Gren addirittura 38. Skoglund, che va per i 29, è considerato un ragazzino. Alla stessa età, Didì è invece ritenuto nella Nazionale brasiliana un veterano: Orlando, Nilton Santos e Vavà sono 23enni, Garrincha ha 24 anni e Pelé, come detto, ancora non ne ha compiuti 18. Gran parte degli svedesi giocava già prima della II Guerra mondiale – quando i sudamericani andavano all’asilo – e il loro calcio è ormai da rottamare. Il Brasile corre e gioca a velocità tripla e infatti la Svezia, dopo l’illusorio gol di Liedholm nei primi minuti della finale, terminerà la partita sepolta di gol (5-2). In molte delle 16 reti segnate dai verdeoro nella corsa verso il loro primo titolo mondiale c’è lo zampino di Garrincha, che ubriaca le difese avversarie, serve ai compagni assist al bacio e viene ovviamente inserito della formazione ideale del torneo. Dall’all-star team viene purtroppo escluso Skoglund – pure autore di grandi partite – solo perché proprio non si possono lasciar fuori Pelé e il francese Fontaine, capocannoniere con ben 13 gol.

Tempi supplementari

Al termine del Mondiale, Nacka fa ritorno all’Inter per un’ultima stagione che si rivelerà poco fortunata. Sono lontani i fasti dei due scudetti consecutivi (’53 e ’54) e della sua perfetta intesa coi compagni d’attacco Lorenzi e Nyers. E pare ormai spento pure l’idillio con Miss Calabria, che gli aveva dato altri due figli e che lo consigliava quando si trattava di investire i molti quattrini che guadagnava. Frodato da un sedicente amico, e padrone di un bar più volte rapinato, per evitare la bancarotta Skoglund mette in vendita il negozio di profumeria dell’ormai ex moglie e parte in cerca degli ultimi guadagni, dapprima alla Sampdoria e poi al Palermo. Avventure fallimentari che lo inducono, a 35 anni, a far ritorno in Svezia e all’Hammerby, il club che lo aveva lanciato, nella speranza di riaccendere una luce ormai spenta. Viene presto piantato da una procace ventiduenne e si attacca a due mani alla bottiglia: è l’inizio della sua parabola conclusiva, fatta di dissipatezza e autodistruzione. Prova più volte a disintossicarsi, ma una mattina di luglio del 1975 viene trovato morto in casa, col cuore scoppiato e nel sangue il tasso alcolico di un battaglione di alpini. Aveva solo 46 anni.

Quale allegria

Dopo il titolo iridato conquistato a Stoccolma, Garrincha fa ritorno al suo amato Botafogo – squadra di Rio in cui gioca da praticamente da sempre – alle nove figlie che gli ha dato la moglie e ad altre due creature avute invece da una delle sue amanti. I più ricchi club d’Europa lo corteggiano, ma lui preferisce restare nel suo Paese a render felice la gente – lo chiamano infatti Alegria do povo, la gioia del popolo – con quei suoi dribbling impossibili da neutralizzare forse proprio per via delle gambe clamorosamente asimmetriche, che lo facevano ondeggiare in modo inatteso e lasciavano groggy i difensori.
Alla fine del campionato 1959, torna in Svezia per giocare alcune amichevoli: appena sbarcato, viene condotto in tribunale, dove una diciannovenne lo attende in compagnia di due gemelline mulatte. Chiede a Garrincha i soldi per il mantenimento di queste altre due figlie la cui paternità, giurano i presenti, non lascia alcun dubbio: sono identiche a Mané, che si commuove, sgancia i soldi e raggiunge i compagni allo stadio. Quando conosce la famosa cantante Elza Soares, ne resta folgorato e per lei lascia tutte le sue donne e tutti i suoi figli. Tradito come Nacka da faccendieri falsi amici, finisce sul lastrico ed evita l’accattonaggio solo grazie alla generosità della chanteuse, che lo rende di nuovo padre e se lo trascina dietro durante le sue tournée mondiali.
Per Garrincha sono anni di problemi politici – Elza è invisa ai dittatori brasiliani –, crac finanziari, violenze coniugali, lunghi soggiorni a Roma, militanza in squadrette laziali di infima categoria, omicidi stradali e tentativi di suicidio. Ma soprattutto, anche qui come per Skoglund, a farla da padrone è l’alcol, che riaccende nell’ex campione una dipendenza che aveva sviluppato, insieme al tabagismo, già in tenerissima età: i genitori, nella speranza di curare almeno qualcuna delle sue molte malattie, gli somministravano massicce dosi di cachaça quando era ancora in fasce. I primi anni 80 sono uno stillicidio di infruttuosi ricoveri in cliniche riabilitative. Braccato dai suoi fantasmi e dai creditori, Mané muore in salmì nel gennaio del 1983 a 49 anni, lasciando una quindicina di figli, stimando per difetto.
Nacka e Garrincha sono ancora oggi considerati paradigma delle ali fantasiose, dribblomani e immarcabili, che ai gol hanno sempre preferito l’assist e il numero da circo. Precursori e maestri di cirrosi di George Best – emblemi di un calcio ancora romantico – entrambi sopravvivono in libri e canzoni per la loro classe, ma anche per la dissolutezza e l’inarrestabile deriva personale.

Questa è la sesta puntata di una serie dedicata alla storia della Coppa del mondo di calcio che ci accompagnerà fino a novembre, nell’immediata vigilia di Qatar 2022.

 

 

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