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Fellini, gli strozzapreti, Vettriano e Alex Ferguson

Purtroppo è ancora parecchio diffuso il pregiudizio secondo cui interesse per le forme d’arte e passione per lo sport non possono convivere

11 marzo 2025
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Dopo le Ceneri, ho trascorso con la morosa ottime giornate a Rimini, dove non eravamo mai stati. Sabato a pranzo, mentre spazzolavamo il fritto misto condiviso in attesa del ragù, al tavolo di fianco al nostro si è accomodata una coppia del posto. Gioviali e gentili come tutti i loro concittadini in cui ci eravamo fin lì imbattuti, i nostri vicini – con cui abbiamo subito attaccato bottone – si sono rivelati una piacevole compagnia. Cosa vi porta quaggiù in questa strana stagione, ci hanno domandato. Gli strozzapreti e il Sangiovese in purezza, ma soprattutto Fellini, che entrambi adoriamo. Oh che bene, hanno commentato.

In questi casi, se finiamo di mangiare per primi, quando passiamo dalla cassa lasciamo pagato il caffè – ogni tanto anche la bottiglia – ai commensali che non rivedremo mai più. E lo avremmo fatto senz’altro anche stavolta, se soltanto non fosse giunta un’ultima domanda capace di rovinare tutto. Cosa fate nella vita, hanno indagato i vicini. E quando ho risposto giornalista sportivo, la tizia – che di suo è operatrice culturale, qualsiasi cosa significhi – si è stupita come se avessi detto dittatore antropofago. Non ci credo, un giornalista sportivo a cui piace Fellini! Mo’ non è brisa possibile! Questa proprio non me l’aspettavo! E lo diceva convinta di rivolgermi un complimento, come si fa magari con gli stranieri che si sforzano, pur non riuscendovi, di mettere in fila due parole d’italiano.

In realtà sono reazioni che mi tocca sorbire da una vita: non sapere nulla di sport e considerare l’agonismo un’abiezione non è nient’altro che una mancanza, ma certa gente – è più forte di lei – ne fa invece un vanto. E ogni volta, trovandomi di fronte a questo tipo di persone, penso subito a Guidobaldo Maria Riccardelli, lo sfigato pseudo-intellettuale cinefilo che in Fantozzi si sentiva realizzato nell’organizzare la visione della Corazzata Kotiomkin – a cui gli impiegati erano costretti a presenziare – proprio nelle sere in cui giocava la Nazionale di pallone.

Trovo consolazione pensando che, per fortuna, esistono individui di tutt’altra pasta, come ad esempio il mio amico Charlie Butti, il quale – oltre a essere un lettore tutt’altro che banale e un musicista di prima categoria (negli anni 80 fondò a Chiasso i Boffalora Stompers) – spesso mette in piedi eventi a sfondo artistico. Se però la sera del vernissage c’è una bella partita di calcio, state certi che a un bel momento il buon Charlie se ne fugge via all’inglese per andare a spararsela a casa o al bar, poco importa se lui figura fra gli organizzatori.

E un tipo simile di consolazione ho tratto anche domenica a Bologna, dove nella tarda mattinata ci siamo fermati al volo, rientrando appunto dalla Riviera romagnola, per dare un’occhiata ai quadri dell’amato Jack Vettriano, che fra l’altro è purtroppo scomparso proprio la scorsa settimana, una manciata di giorni dopo l’inaugurazione della mostra. Allestita nel notevole Palazzo Pallavicini – quattro fermate di autobus dalla stazione centrale – l’esposizione è introdotta da pannelli esplicativi in cui si dice fra l’altro che fra i maggiori estimatori del pittore scozzese, oltre a Robert De Niro, figura anche Sir Alex Ferguson, che per la bellezza di 27 anni fu deus ex machina del Manchester United.

Immagino che l’informazione in questione farebbe andare di traverso seitan e tofu agli innumerevoli Guidobaldo Maria Riccardelli da cui siamo circondati, specie perché nelle magnetiche tele di Vettriano – fitte di riferimenti letterari, musicali e cinematografici – non figura nemmeno un pallone da calcio. Le sue sole vaghe concessioni allo sport, infatti, fanno riferimento alle barche a vela, a qualche motocicletta, al gruppo ottico di una Porsche 356 dei primi anni Cinquanta o agli strati di blu con cui il mitico pilota Malcolm Campbell tingeva la Talbot Darracq al volante della quale conquistò uno dei suoi innumerevoli un record di velocità. Una visita, date retta a un povero giornalista sportivo, vale davvero la pena. Anche perché, uscito dalle sale con in mano un magnifico poster arrotolato, in una delle mille osterie sotto i portici ho potuto godermi il miglior roast beef della mia vita.