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I mariuoli del Barça e gli eroi del Tamworth

Il Barcellona, così come anche il Manchester City, non brilla certo per trasparenza nei bilanci e nelle spese, eppure nessuno ha interesse a intervenire

14 gennaio 2025
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Anche stavolta, com’è divenuta ormai tradizione, il nuovo anno si è aperto – parlando di calcio – con le penose ma assai lucrose digressioni arabe dei club italiani, spagnoli e ora pure francesi impegnati nelle rispettive Supercoppe, ex sfide secche trasformatesi, per motivi di cassetta, in piccoli tornei.

Trattasi di manifestazioni che alle società portano un bel po’ di cash, mentre ai campionati nazionali arrecano soltanto scompensi a livello di classifiche e calendari, che saranno sanati soltanto molto più avanti. La più recente di queste partite, andata in scena l’altroieri sera e diffusa per il pubblico italofono da una men che marginale rete lombarda, metteva di fronte quanto di meglio a livello di blasone il fútbol iberico ha da offrire, e cioè la classicissima sfida fra Barcellona e Real Madrid, risoltasi con un largo successo (5-2) dei catalani.

Pur avendola seguita con un solo occhio e un solo orecchio (sono stato a lungo al telefono coi colleghi che si occupano di hockey che mi aggiornavano sugli sviluppi del caso Gianinazzi), ammetto di essermi anche abbastanza divertito. Imbottite di fuoriclasse, le due compagini hanno infatti mostrato giocate e gol di pregevole fattura, benché in qualche caso le prodezze siano state agevolate dalla pessima applicazione dei più basilari dettami difensivi.

Ne ho comunque ricavato, come detto, un certo piacere, almeno finché non ho cominciato a indugiare su alcune considerazioni che, inevitabilmente, hanno finito per guastarmi lo spettacolo, lasciandomi fra l’altro in bocca un gusto poco gradevole, che nemmeno la seconda lattina di birra ha saputo scacciare. Mi riferisco soprattutto al fatto che il Barça, in un mondo più giusto, in campo non avrebbe nemmeno dovuto esserci: secondo logica, infatti, un club che per anni (decenni) ha evaso il fisco, corrotto il sistema arbitrale – e truccato i libri contabili tramite magheggi vergognosi – avrebbe dovuto, se non proprio sparire, essere retrocesso al più basso livello pallonaro esistente.

E invece i blaugrana sono sempre lì, nell’Olimpo, senza aver subito sanzioni di alcun tipo, tranne forse l’intimazione a smettere di spendere più di quanto si possegga o sia legalmente consentito. A quanto pare – come altre celebri squadre dell’intero continente – un’entità come quella culé è semplicemente too big to fail (troppo grande per poter scomparire), al pari di certe banche o compagnie aeree, come ben sappiamo alle nostre latitudini.

Evidentemente, si tratta di colossi talmente sovradimensionati – e in grado di muovere e generare così tanti quattrini – che un eventuale loro fallimento causerebbe perdite incalcolabili per l’intero sistema in cui sono inserite, e dunque nessuno ha davvero interesse a fare giustizia. Se però il sottoscritto non paga la Serafe – pensa l’uomo della strada –, garantito che mi ritrovo in garage gli esattori dell’Ufficio esecuzioni e fallimenti venuti a pignorarmi lo snowboard, posto che io ne possegga uno, si capisce.

Il calcio resta il gioco più bello del mondo, ma in certi casi è meglio non stargli troppo vicino, perché emana un puzzo pernicioso. Il problema, ribadisco, non è certo soltanto spagnolo: in Inghilterra, ad esempio, sul club che da anni vince tutto – il Manchester City – pendono diverse decine di gravissimi capi d’imputazione, ma c’è da scommettere che nemmeno lassù verranno adottate misure troppo drastiche per punire gli illeciti perpetrati.

L’Inghilterra, però, è anche la terra che ci offre una certa forma di consolazione, e di riconciliazione con l’inzaccherato mondo del pallone: sempre domenica, in una gara di FA Cup, il ricchissimo Tottenham ha infatti impiegato oltre 100 minuti prima di riuscire a segnare un gol contro il Tamworth, sconosciuto club di quinta divisione in cui giocano carrozzieri, commessi di Zara e imbianchini. E il premio di migliore in campo è finito nelle mani del 32enne terzino Haydn Hollis, che si guadagna il pane – e il fish and chips – facendo l’idraulico.