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Ambrì e Lugano, il derby più atteso diciassette anni dopo

Il Ticino torna a vivere una sfida che può segnare il destino di bianconeri e biancoblù. ‘Nel 2006 era come se il cantone si fosse fermato a guardare’

Marco Müller e compagni sono avanti 2-1 negli scontri diretti stagionali
(Ti-Press)

È il derby numero 249 della storia quello di domani sera della Gottardo Arena. E, al di là della retorica, sarà davvero una serata imperdibile tanto per l’Ambrì Piotta di Luca Cereda quanto per il Lugano di Luca Gianinazzi, che sanno benissimo di non poter perdere per tener viva la speranza, qualunque essa sia, in un finale di regular season angosciosamente incerto per non dire assolutamente indecifrabile, probabilmente fino all’ultimo secondo.

Per trovare un altro derby così atteso, ma quella fu una vera partita da dentro o fuori, bisogna tornare indietro addirittura fino al 19 marzo del 2006, a quel quarto di finale passato alla storia per aver suscitato emozioni fortissime, vissute da un intero cantone. Ne è passato di tempo da quel giorno, infatti diciassette anni sono tanti, e il ricordo di quella gara 7 sul ghiaccio della Resega sembra essersi sbiadito persino nella mente di coloro che quell’intensa domenica l’avevano vissuta sul ghiaccio. «Com’era finita la partita? Mi spiace ma la memoria non è d’aiuto, in tutti questi anni devo aver ricevuto troppi colpi in testa» dice, con una punta d’ironia, Mattia Baldi, oggi 45enne ex ala sinistra che quel match lo giocò nella quarta linea biancoblù.

«Io, invece, ricordo bene quel giorno, perché da settimo difensore almeno il terzo tempo l’avevo giocato – aggiunge, sorridendo, Alessandro Chiesa, trentaseienne ex capitano bianconero che all’epoca aveva appena 19 anni –. Il risultato di gara 7? Abbiamo vinto abbastanza bene, mi sembra... Tipo 5-1, no?».

Oltre al risultato, ti riesce magari di ricordare pure come avevi dormito la notte prima?

Più che altro – continua Chiesa – ricordo il mio stato d’animo di tutta quella serie... Noi ticinesi quel quarto l’abbiamo vissuto in maniera molto emozionale. Era davvero molto sentito quel derby: avevamo l’impressione che tutto il Ticino si fosse fermato a guardarci... Già i playoff di per sé sono tutta un’altra cosa, figuriamoci poi una sfida tra Ambrì e Lugano.

Mattia, tu che ricordo hai di quella domenica?

Direi che per me è stata una giornata come tutte le altre prima di un derby, in cui tra nervosismo e adrenalina non vedi l’ora d’iniziare la partita. Spesso, infatti, è l’attesa dell’ingaggio d’inizio la cosa più difficile da gestire. Tuttavia, per quanto mi riguarda trovo sia stato più particolare l’anno della finale, nel 1999. Credo valga non solo per me, ma per tutto il cantone e per noi giocatori, se penso che eravamo riusciti a portare l’hockey ticinese sotto i riflettori di un’intera nazione. Fu sul serio motivo di grande orgoglio: l’attenzione era tutta sulle partite, in giornate intense sì, con tantissima pressione, ma ricordo che la vivevamo bene. Poi sappiamo tutti com’è finita, la parola è passata al ghiaccio e alla fine ha vinto il più forte.

Tornando al 19 marzo 2006, c’è un aneddoto legato a quella gara?

Uh no, sono passati troppi anni – aggiunge Baldi –. Non saprei veramente cosa raccontare. Magari Ale, che è più giovane di me e ha appena smesso di giocare, ha la mente più lucida...

Quindi, Alessandro?

Io un ricordo ce l’ho ben presente, anche perché ero alla prima stagione alla Resega e il mio passaggio da Ambrì a Lugano fece un po’ di rumore. Ancora ricordo sullo 0-3 nella serie gli sfottò degli ex compagni nei corridoi che portano agli spogliatoi, i quali mi chiedevano se fossi ancora convinto di aver fatto bene. Da lì in poi, però, (ride, ndr), non me l’hanno più chiesto.

Cos’hai pensato quel giorno, quando hai messo piede in pista?

Al primissimo cambio – ricorda Chiesa sorridendo – mi sono detto: ‘Adesso concentrati e non fare errori!’. Per me la situazione era totalmente mutata dopo gara 2, quando ci fu il cambio della guida tecnica (dopo il licenziamento di Larry Huras, ndr). Arrivò Ivano Zanatta, che era poi l’assistente di Harold Kreis, ma in realtà l’allenatore era lui, e decise che nonostante fossi molto giovane dovessi anche io vivere quel derby in panchina, perché diceva che da ragazzino avrei dovuto vivere quell’esperienza, e fu così che diventai il settimo difensore.

Certo che poter vivere un derby da protagonisti dev’essere un’esperienza unica: ma sul serio in pista si è concentrati al punto da non sentire il pubblico?

È così, veramente – aggiunge Chiesa –. Quando sei nel tuo ‘shift’, quando stai lavorando sul ghiaccio sei troppo concentrato su ciò che devi fare e non hai tempo per renderti conto del contorno. Però sì, ad esempio nei secondi che precedono un ingaggio, ti rendi benissimo conto della differenza che c’è tra un derby e una partita normale.

Sei d’accordo, Mattia?

Sì, effettivamente ci sono momenti in cui lo senti e altri no. Dipende se sei nella fase clou di un’azione, oppure se stai aspettando il tuo turno in panchina: è lì che percepisci l’atmosfera, sono quei minuti, e sono comunque tanti, quelli che ti danno l’adrenalina per andare a tutta sul ghiaccio.

E il divertimento di cui parlate spesso voi giocatori? Ti sei mai divertito durante un derby?

Io senz’altro mi sono divertito di più nelle due finali con lo Zurigo, quando mi sono preso la rivincita – aggiunge Baldi, ridendo –. Se ripenso a quella finale vissuta con l’Ambrì, in cui non siamo riusciti a fare l’ultimo passo, il rammarico è davvero grosso, ma è andata così e non si può tornare indietro. Ciò che mi fa davvero piacere è che in carriera ho potuto capire cosa significhi giocare un derby del genere, e ho avuto la fortuna di partecipare a momenti tanto importanti.

Vista la pressione che c’è in una partita del genere, giocare davanti al proprio pubblico un derby in cui si decide la stagione è un vantaggio sul serio, o piuttosto si rischia di finire vittime della tensione?

Tutto dipende dal momento che stanno vivendo le due squadre – spiega Alessandro Chiesa –. Se ripenso a quel 19 marzo 2006, noi arrivavamo da tre vittorie filate e avevamo il ‘momentum’ dalla nostra parte: l’aver potuto giocare gara 7 in casa, dove c’era un ambiente incredibile, è stato un vantaggio. Ma non è mica sempre così: bisogna vedere chi ha più da perdere.

Mattia, anche per te è lo stesso?

No. Io ritengo che, dal mio punto di vista, giocare ad Ambrì sia un vantaggio. Da sempre sappiamo di avere la fortuna di poter contare su un pubblico che è il classico uomo in più sul ghiaccio, pur se è vero che ultimamente, se si guardano le statistiche, in casa si vedono dei problemi nel conquistare i tre punti. Tuttavia, a poter scegliere dove giocare una partita decisiva, se fossi ancora un giocatore direi certamente la Gottardo Arena.

Gottardo Arena dove, tra l’altro, domani il derby numero 249 della storia può essere decisivo in un senso come nell’altro. Mattia, tu come vedi quel duello?

Come potrebbe finire davvero non lo so, ma spero che finisca bene. Sicuramente in ballo ci saranno tante emozioni, sul ghiaccio e fuori, e indubbiamente sarà una partita importantissima. Quindi faccio tutti gli scongiuri...

E tu Ale, cosa ne dici?

Dico che da spettatore è un conto e da giocatore un altro. Anche perché (ride, ndr) a me piacevano un sacco le partite in cui i dischi scottavano. In ogni caso, da tifoso ed ex capitano del Lugano mi dico che nei derby abbiamo avuto un buon trend negli ultimi anni, quindi... Ciò che posso benissimo immaginarmi è che sarà un derby molto chiuso, da classica partita della paura, insomma.

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