hockey

Il sistema Lugano: ‘Verticalità e profondità’

Paul Di Pietro, Patrice Bosch e Chris McSorley sono pronti a guidare il Lugano in una nuova stagione, in cui costruire su quanto fatto nella passata

‘Durante la partita bisogna monitorare continuamente il polso dei giocatori’, McSorley dixit
(Ti-Press/Golay)
4 agosto 2022
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Con il campo d’allenamento prestagionale che inizierà lunedì, lo staff tecnico del Lugano (alla presenza dell’headcoach Chris McSorley, dei suoi assistenti Patrice Bosch e Paul Di Pietro e del videocoach Flavio Nodari) ha colto l’occasione per spiegare ai media i punti centrali della loro filosofia di gioco. Aggressività, verticalità, profondità e larghezza le parole chiave. «Sì, abbiamo bisogno di competitività, di ragazzi che giochino competitivi e duri – ha aggiunto Paul Di Pietro –. Lavorare duro e vincere le battaglie uno contro uno è la prima cosa da fare per vincere partite di hockey e bisogna farlo quotidianamente. Infatti spesso durante i playoff accade che la squadra che lotta più duramente abbia la meglio su quella più forte».

Il vantaggio dello staff bianconero da questo punto di vista è che se l’anno scorso si era dovuti partire da zero, quest’anno si potrà costruire su quanto fatto nella precedente stagione. Cambierà qualcosa con il fatto di poter schierare sei stranieri? «A livello di sistemi di gioco no, semplicemente ogni squadra è migliorata, noi anche. Probabilmente la lega non è mai stata di così alto livello e di conseguenza tanto attrattiva per i tifosi. Adesso la National League è probabilmente la seconda miglior lega al mondo dietro alla Nhl, assieme forse all’Shl e alla Khl ed è bello farne parte». La convinzione dello staff tecnico è in ogni caso quella di aver rinforzato la squadra in maniera appropriata per poter guardare negli occhi anche le migliori squadre della lega. Staff che ha tra l’altro sottolineato come nella scorsa stagione la sua squadra sia stata la migliore per quanto concerne il volume di tiri scagliati.

Paul Di Pietro è alla quarta stagione sulla panchina bianconera, sulla quale era arrivato con l’assunzione di Serge Pelletier al posto di Sami Kapanen. Com’è stato il passaggio da un coach all’altro? «Ogni allenatore ha il suo sistema a cui poi apporta le sue aggiunte, ma nessuno in sé è sbagliato. E come assistente allenatore, si tratta soprattutto di supportare e applicare le idee dell’allenatore».

Cinque ore al giorno al video

E se uno dei credi di McSorley è di creare più situazioni di superiorità numerica possibile (spesso con l’aiuto dei difensori in zona offensiva e con un recupero molto rapido in difesa) nelle zone focali della pista, il powerplay è un altro elemento fondamentale e la sua responsabilità ricade sulle spalle del 51enne svizzero-canadese, che trascorre tanto tempo anche a osservare come questa situazione speciale viene impostata nelle altre grandi leghe: «Ogni giorno passo del tempo a guardare powerplay, trascorro quotidianamente davanti al video cinque ore, poi lo alleniamo due o tre volte alla settimana. La mia testa però non si stacca mai, i pensieri sono sempre rivolti alla mia professione. Lavoro praticamente ventiquattro ore, senza pausa per nove mesi, poi mi prendo gli altri tre per staccare un po’».

Dopo aver giocato a tre riprese in Ticino (una stagione ad Ambrì e due spezzoni a Lugano), il nativo di Sault Ste. Marie in Ontario si è ormai stabilito alle nostre latitudini: «Adoro il Ticino e quest’anno mi raggiungerà anche la famiglia, sono molto eccitato all’idea, inoltre mia figlia di tre anni e mezzo potrà fare qui le scuole, anche questo mi eccita parecchio».

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