Hockey

Ticino Rockets, virus o no ‘il progetto è in salute’

Un match ogni tre giorni dopo la quarantena di metà settembre e già 14 punti in classifica. Sébastien Reuille: ‘Non possiamo che essere contenti’

Il portiere dei Razzi Viktor Östlund (Ti-Press/Crinari)
2 novembre 2020
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Dieci partite in un mese. Da quel 2 ottobre in cui i Ticino Rockets debuttarono in campionato sfidando l'Ajoie, in una stagione segnata dalla pandemia in cui, però, i ragazzi di Eric Landry e Mike McNamara debbono fare gli straordinari: con il recupero di domani alla Raiffeisen BiascArena, contro il Winterhur, fanno 11 partite in 31 giorni. Quindi praticamente una ogni tre... «E sarebbero state dodici, se avessimo giocato quella con Langenthal martedì scorso, poi cancellata» dice Sébastien Reuille, direttore sportivo del 'farm team' di Ambrì e Lugano al cui progetto partecipano pure Gdt Bellinzona, Losanna e Davos. «Ma siamo contenti di giocare, non di dover restare a casa come la maggioranza delle squadre della Lega in questo momento».

Poi ci sono i risultati: pur in una classifica di 'B' a dir poco illeggibile, con squadre come lo stesso Langenthal, Sierre e Ajoie che hanno giocato la metà di altri, siete pur sempre a quattro punti dal primo, il Turgovia, che ha le vostre stesse partite, e a tre dal favoritissimo Kloten. «Senz'altro, sportivamente non possiamo che essere contenti – continua Reuille –. Perché abbiamo una buona squadra e i due allenatori stanno facendo un ottimo lavoro. Soprattutto, però, c'è grande stabilità: i giocatori che abbiamo a disposizione, a parte l'innesto di qualche giovane arrivato da fuori, sono sostanzialmente sempre gli stessi. Questo rende tutto più semplice a livello di sistema, e facilita il compito più ai due coach, sia a livello individuale, sia a livello di gruppo».

Covid o strategia? ‘Entrambe le cose’

Infatti, se è vero che in totale i giocatori impiegati finora sono stati ventotto, venti di loro sono scesi in pista in almeno metà delle vostre dieci partite: è cambiata la strategia rispetto al passato, o piuttosto è il Covid che induce prudenza nell'effettuare spostamenti da Biasca ad Ambrì, Lugano e Davos o viceversa, per minimizzare i rischi di contagio? «Entrambe le cose direi. Da una parte i club hanno visto che, pur se siamo una squadra di formazione e sviluppo, la stabilità della squadra è un qualcosa d'importante. Infatti vai pur sempre sul ghiaccio per vincere le partite o almeno per portare a casa qualche punto. Poi, è ovvio, tale stabilità dipenderà anche dagli infortuni, che portano naturalmente a stravolgere gli effettivi. E da una parte siamo contenti che al presentarsi di un caso di Covid sia tutta squadra a finire in quarantena e non solo i tre o quattro giocatori interessati, altrimenti verrebbero a prenderli da noi (sorride, ndr). Quindi sì, visti i problemi causati dal virus abbiamo senz'altro ridotto al minimo il cambiamento a livello di effettivi, ma direi che soprattutto i nostri club partner stanno lavorando alla grande, e lasciano che i loro giovani rimangano a Biasca per crescere».

Detto altrimenti, chi in primavera temeva per le sorti del progetto Rockets dopo i cambiamenti a livello societario ora può dirsi sollevato. «Certamente. Il nostro progetto gode di buona salute sia a livello economico, sia a livello sportivo. E il nostro obiettivo non cambia: far sì che questi ragazzi a medio-lungo termine possano esordire in prima squadra nei rispettivi club, oppure trovare sbocchi nel professionismo da qualche altra parte».

Il tutto con il supporto di due allenatori che hanno legato il loro nome alla crescita dei talenti, ovvero Eric Landry e Mike McNamara. «Eric lo conosciamo tutti per ciò che aveva fatto da giocatore, ma non l'avevamo mai visto all'opera in panchina. Tuttavia, i feedback che abbiamo ottenuto dal Nordamerica erano molto positivi, e ora sono confermati da ciò che sta facendo da noi e dalla linea che sta seguendo. Mike invece, beh, sappiamo bene ciò che ha fatto a Lugano prima e a Bienne poi. Lui e Landry hanno l'hockey nel sangue e la loro vita è legata allo sviluppo dei giovani»,

Però a Biasca quest'anno c'è anche più sostanza, e soprattutto più esperienza. Un nome su tutti? Quello di Sandro Zangger, che a Lugano, sotto la guida di Kapanen, era arrivato persino in prima linea: lo spostamento, come l'ha preso? «Molto bene, l'ha preso molto bene – dice Reuille, convinto –. Pur se non l'ha esternato pubblicamente, chiaramente all'inizio ha dovuto fare i conti con la delusione per non essere a Lugano, in National League, ed è naturale che sia così. Tuttavia ha accettato la decisione con grande professionalità, e non solo si è messo ad aiutare questi ragazzi, ma ha immediatamente assunto il ruolo di leader».

‘Venire qui non è una punizione’

Una dimostrazione, questa, che l'immagine dei Rockets sta cambiando? «Di sicuro noi lavoriamo ogni giorno per far passare l'idea che venire qui non è una punizione. Al contrario, siamo un trampolino di lancio per alcuni, e per altri una piattaforma per ritrovare le migliori sensazioni o rimettersi in forma. E questo direi che la gente inizia a capirlo. A cominciare dai giocatori, sull'esempio di Jason Fritsche che ha trovato un contratto nel Turgovia (già tre gol e sette assist in dieci partite quest'anno, ndr) unitamente a Misha Moor, oppure di un Marc Camichel nell'Ajoie e di Jerôme Portmann nell'Olten».

Tra l'altro, pur senza volerlo, in questa stagione perturbata dalla pandemia voi siete stati i primi nell'hockey a sperimentare cosa significhi finire in quarantena ancor prima che il campionato iniziasse, a metà settembre. Insomma, come si dice avete già dato... «Sì, ma attenzione: in quel caso ci fu un solo giocatore positivo al tampone, quindi non possiamo escludere che il virus possa colpire di nuovo, anche se noi seguiamo scrupolosamente i protocolli ufficiali e le regole studiate da noi – conclude Reuille –. Di sicuro, da quell'esperienza abbiamo potuto imparare molto. A cominciare dal sottoscritto, tanto sul piano organizzativo, tanto su quello sportivo. Da quell'episodio è pure nata un'ottima collaborazione con l'ufficio del Medico cantonale, da cui abbiamo ricevuto grandissimo sostegno, ciò che ci ha aiutato molto. E credo pure che, indirettamente, da ciò che era capitato a noi a settembre hanno potuto beneficiare anche Ambrì e Lugano per la gestione delle loro quarantene».

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