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Il derby che non c’è ma che tutti vogliono vincere

Domani all’Olimpico va in scena la sfida numero 59 tra Italia e Svizzera, vissuta con fervore dalle nostre parti, meno in casa azzurra

15 giugno 2021
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Qualcuno ha detto derby? Sì, in molti di noi Svizzera-Italia, pur magari non rispettando appieno i criteri della definizione data dal vocabolario – riassumendo, “una partita tra squadre delle stessa città o regione tra le quali vi è un’accesa rivalità” – suscita emozioni intense, viscerali, da derby appunto. Chi semplicemente attingendo all’aspetto sportivo, chi per legami affettivi o di amicizia (che in queste occasioni diventa sano odio), origini vicine o lontane nella Penisola, vicinanza al confine e chi più ne ha più ne metta... Tutti o quasi in Ticino abbiamo delle motivazioni che ci portano a dire: “domani all’Euro c’è il derby con l’Italia”. E a volerlo vincere a tutti i costi, per l’orgoglio innanzitutto, che vien prima anche dei punti in palio, peraltro fondamentali per la Svizzera (almeno uno) per non complicare maledettamente il cammino nella rassegna continentale itinerante, già partita per gli elvetici con il mezzo passo falso di Baku contro il Galles (1-1).

Una sfumatura quella del derby tra il rossocrociato e l’azzurro, che sembra però già iniziare a perdere intensità – pur rimanendo comunque sentita – varcando il Gottardo, dove la sfida “stranazionale” per eccellenza è piuttosto quella con la Germania per gli svizzerotedeschi e rispettivamente con la Francia per i francofoni. Normale. Così come non stupisce vederne sbiadire sempre più i colori andando nella direzione opposta, ossia superando la frontiera a sud fino a raggiungere simbolicamente Roma. In fondo, nella Città Eterna di derby ce n’è uno solo: Roma contro Lazio. Come a Milano, Torino, Genova e via dicendo. Così come, circoscrivendo il tutto alle nazionali, le rivalità più sentite in casa azzurra sono altre, quella con la Germania su tutte.

Non ci sorprendiamo quindi più di tanto quando girando per le vie della capitale italiana alla vigilia della sfida tra la nazionale di casa e la Nati e chiedendo alla gente se e quanto è sentito il derby con i rossocrociati, sulla maggior parte dei volti si disegna un certo stupore, quasi incomprensione per la domanda. Ok, non chiamiamolo derby, ma quando è effettivamente sentito lo scontro tra “vicini” e qual è l’atmosfera che accompagnerà il secondo impegno nel girone A delle due nazionali, oggi all’Olimpico una di fronte all’altra per la prima volta dopo 11 anni dall’ultima amichevole (1-1 a Ginevra il 5 giugno 2010) e addirittura 22 dall’ultimo duello ufficiale, il 9 giugno 1999 alla Pontaise di Losanna per le qualificazioni a Euro 2000 (finì 0-0)?

Più che la Svizzera, i romani (sponda Lazio) aspettano Vlado

«C’è grande attesa per questa partita e vogliamo vincerla, sì, ma se devo dire la verità è più che altro perché crediamo molto in questa giovane Italia di Mancini, vogliamo vederla arrivare fino in fondo e non tanto perché gioca contro la Svizzera», ammette candidamente Giorgio, tifoso di casa arrivato da Firenze con un gruppo di amici che incontriamo al Football Village di Piazza del Popolo. Una versione ricorrente che ci viene confermata anche dai colleghi italiani… «Sicuramente nelle regioni di confine come partita è un po’ più sentita, ma in generale direi che qui da noi non viene considerato un derby – ci spiega Fabrizio Patania del Corriere dello Sport –. Noi giornalisti magari la viviamo in maniera un attimo diversa, ma soprattutto perché nella Svizzera ci sono dei giocatori che giocano o hanno giocato in Italia e soprattutto, chi segue il calcio romano e in particolare la Lazio come me, c’è mister Petkovic. Ha lasciato un gran bel ricordo anche tra di noi, è sempre stato un Signore».

Già, Vlado, tecnico dei biancocelesti dal giugno 2012 al gennaio 2014 – proprio prima di approdare in rossocrociato – diventato praticamente un’istituzione per i tifosi biancocelesti con la conquista della Coppa Italia 2016 battendo in finale gli odiati cugini della Roma (1-0 con gol dell’ex Acb Lulic). «Sapete qual’è il mio sogno? Farmi una foto con mister Pektovic», ci aveva detto storpiandone il nome il simpatico paninaro che staziona di fronte allo stadio Tre Fontane, in occasione del primo allenamento degli elvetici a Roma. «Con quella vittoria, Petkovic si è conquistato un posto nei nostri cuori, qui sarà sempre a casa e lo accoglieremo bene», conferma Enrico del “Lazio Fan Shop” di via degli Scipioni. Pochi passi più in là, troviamo un altro official store ma stavolta giallorosso, dove un po’ ci stupiscono affermano che “ma no che non lo odiamo, certo a noi della Roma ha dato un grosso dispiacere portandoci via quel trofeo, ma è sempre stato un signore nei modi, per cui va bene, diciamo che ci è indifferente».

Ok, ma Svizzera-Italia? «Certo che vogliamo vincere contro i nostri vicini – ci regala un illusorio sprazzo di rivalità una signora con cappello tricolore in testa che si ripara dalla calura in Piazza di Spagna –. Ma voi perché parlate italiano se siete svizzeri?». Niente.

Se anche le guardie del Papa chiedono una vittoria...

Quanto ai tifosi rossocrociati, complici le varie restrizioni, molti dei 4’000 sostenitori elvetici attesi nella Città Eterna arriveranno solo domani, tanto che le bandiere rossocrociate che incontriamo per strada si contano sulle dita di una mano. Tra queste, quella sventolata da Mathieu, che con i suoi due fratelli e un paio di amici è arrivato in mattinata da Losanna… «Seguiamo spesso la Nazionale, tre anni fa ai Mondiali siamo andati anche in Russia – ci racconta –. Avremmo voluto venire prima, ma non essendo ancora vaccinati dovevamo fare il tampone al massimo 48 ore prima del match e abbiamo optato per questa scelta. L’Italia non è un avversario come un’altro, è una grande squadra ed è nostra vicina, ma da lì a dire che è sentito come un derby, ne passa. Se però questo può caricare i giocatori a vincere, ben venga, perché non vogliamo vedere la Svizzera tornare già a casa».

Per finire, decidiamo di andare sul sicuro e ci affacciamo alla caserma della Guardia svizzera pontificia, adiacente alla Basilica di San Pietro… «Certo che per noi è una partita speciale – ci dice (evviva) il sergente maggiore Guillaume Favre –. Siamo svizzeri ma viviamo e lavoriamo qui, ci teniamo particolarmente a questa partita, abbiamo già predisposto un grande schermo per seguirla tutti assieme. Speriamo almeno di non perdere, anche perché sennò ci suonerebbero dietro per diversi giorni passando davanti alla nostra caserma». 

Tante motivazioni, tanti modi diversi di vivere Svizzera-Italia, che in fondo resta pur sempre solo una partita di calcio… O forse no?

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